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Efficienza energetica PMI: la Lombardia propone un nuovo bando

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Questo contenuto è stato aggiornato in data 08/09/2021   La Regione Lombardia pubblica un nuovo bando a favore delle PMI interessate alla riduzione dei consumi energetici. Le imprese hanno l’occasione di ricevere ben 400.000 € per ogni intervento delle due tipologie ammesse. Inoltre, ancora una volta, saranno attribuiti punteggi aggiuntivi a chi possiede certificazioni energetiche, come la ISO 50001. Ecco tutti i dettagli.   Le PMI lombarde destinatarie di un nuovo contributo a fondo perduto   Nell’ambito del programma operativo “Energia lombarda 2021”, qualche mese fa la Regione Lombardia ha annunciato un nuovo bando a favore delle PMI. Lo scopo è quello di promuovere l’efficienza energetica, supportando le imprese con un contributo a fondo perduto di 10.000.000 di euro.   Le imprese destinatarie sono quelle con codice ISTAT ATECO B o C; dunque le micro, piccole e medie imprese del settore manifatturiero o estrattivo con siti produttivi in Lombardia. Saranno ammessi due tipologie di interventi: 5.000.000 € per azioni di efficientamento energetico degli impianti produttivi e 5.000.000 € per l’installazione di impianti fotovoltaici. La stessa impresa potrà concorrere per entrambe le agevolazioni, presentando due domande differenti.   Le domande saranno valutate con una graduatoria; ai progetti che prevedono un maggiore risparmio energetico e una maggiore capacità di autoproduzione verrà attribuito un punteggio più alto.   Fattori di premialità e compatibilità con altre agevolazioni   Per incentivare lo sviluppo sostenibile e contribuire al raggiungimento degli SDGs dell’Agenda 2030, anche gli enti regionali prevedono criteri di premialità per le realtà che adottano modelli di business sostenibili.   Pertanto, anche in questo bando, le imprese che possiedono certificazioni energetiche – come la ISO 50001 – e vantano la presenza di donne con potere decisionale in azienda sono premiate con punteggi aggiuntivi.   Inoltre, le aziende che beneficiano di finanziamenti garantiti dal fondo garanzia per PMI, di incentivi nazionali per la produzione di energia da fonti rinnovabili e sgravi fiscali possono accedere anche a quest’agevolazione.   Efficientamento energetico e fotovoltaico: gli interventi ammessi   Gli interventi ammessi al bando sono i seguenti: Interventi di efficientamento energetico (tipologia 1): azioni di miglioramento, sostituzione o integrazione degli impianti produttivi, finalizzati a ridurre l’indice di prestazione energetica di almeno il 7% (sia in ambito elettrico che termico).   È possibile fare domanda a partire dal 15 novembre 2021 (prima finestra) e dal 3 gennaio 2022 (seconda finestra).   Installazione di impianti fotovoltaici (tipologia 2): impianti con potenza di picco fino a 1 MW posti sulle coperture del sito produttivo o di altre strutture di proprietà dell’impresa. Gli impianti devono prevedere l’integrazione con eventuali sistemi di accumulo di energia, utili a soddisfare il fabbisogno energetico della stessa impresa.   Le domande a partire dal 18 ottobre 2021 (prima finestra) e dal 15 novembre (seconda finestra).   Condizioni necessarie per entrambe le tipologie di intervento:   Aver effettuato una diagnosi energetica da non più di un anno dall’apertura del bando, con un ente accreditato certificato o con firmatari di accordi internazionali per il mutuo riconoscimento (in caso di imprese energivore) o con esperti non certificati (in caso di imprese non energivore); Concludere e collaudare i lavori entro 15 mesi dall’assegnazione del contributo.   Consulenza efficienza energetica e sistemi di monitoraggio nell’elenco delle spese ammesse   La Regione Lombardia è pronta a riconoscere contributi pari al 40% delle spese ammissibili per chi propone interventi di efficientamento e al 30% per chi provvedere all’installazione di impianti fotovoltaici.   Per le azioni di modifica, sostituzione o integrazione degli impianti produttivi (tipologia 1) è possibile includere spese diverse, tra cui: consulenza, fornitura di dispositivi e acquisto di sistemi di monitoraggio consumi energetici degli impianti oggetto di intervento.   Chi invece sceglie di installare impianti fotovoltaici (tipologia 2) potrà includere spese come: consulenza, progettazione, costo per la fornitura e l’installazione degli impianti (con somme diverse per potenza di impianto), allacciamento alla rete elettrica, ecc.   ISO 50001, sistema di monitoraggio, consulenza: con noi è tutto più semplice   Efficienza e risparmio energetico, uso di energia pulita e rinnovabile sono tra gli obiettivi SGDs dell’Agenda 2030 e l’Italia è uno dei paesi firmatari. I bandi come quello pubblicato dalla Regione Lombardia sono preziosi per le PMI, perché consentono di accedere a fondi da investire in progetti di miglioramento e rinnovamento aziendale.   Se vuoi accedere a questo bando e ad altre agevolazioni per l’efficienza energetica approfitta dei nostri servizi e prodotti.   Diagnosi energetica con esperti certificati Studi di fattibilità per impianti fotovoltaici Certificazione ISO 50001 Sistema di controllo e monitoraggio consumi energetici   Oggi più di ieri, cambiare conviene.   Parliamone  

Rischi ambientali nelle aziende: misure e investimenti per ridurre l’impatto ambientale

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La consapevolezza dei problemi ambientali coinvolge cittadini, istituzioni ed aziende, specie quelle che operano nei settori ad alto rischio. L’indagine di DNV GL – Business Assurance – e GFK Eurisko, Istituto di ricerca internazionale, ha analizzato le modalità di gestione dei rischi ambientali nelle aziende, le misure intraprese e i loro investimenti futuri, coinvolgendo Paesi quali Europa, Asia, Centro, Nord e Sud America. Il campione analizzato nell’indagine comprende 578 aziende ad alto rischio, di cui 177 impegnate nel settore chimico. Qual è l’approccio ambientale delle aziende? Come gestiscono e riducono i rischi ambientali connessi alle attività industriali?   Il punto di vista delle aziende nel mondo: cosa emerge dall’indagine?   Dall’indagine emerge quanto diverse aziende di tutto il mondo concordino sull’importanza della tutela ambientale e di quanto sia necessario integrarla nella pianificazione delle loro strategie. Il comparto industriale grava ancora significativamente sull’ambiente in termini di inquinamento e rifiuti prodotti, nonostante negli ultimi anni abbia registrato grandi miglioramenti grazie alla certificazione ambientale, progressi in efficienza energetica e allontanamento progressivo dalla produzione pesante. Ogni Paese percepisce un determinato rischio più dannoso rispetto ad altri per l’ambiente. Ad esempio:   nel Nord America sono preoccupati per lo smaltimento dei rifiuti gli europei sono più sensibili al consumo di risorse energetiche non rinnovabili nei Paesi Bassi, in Norvegia e in Svezia si registra una preoccupazione maggiore per il rischio connesso ad emissioni di CO2 e altri gas a effetto serra in India si preoccupano principalmente della scarsità delle risorse idriche   Tutela ambientale: l’impegno delle aziende ad alto rischio   Le aziende ad alto rischio sono quelle che si occupano di attività estrattive minerarie, petrolifere e gasiere, tintura e concia di tessuti e capi, produzione di cellulosa, chimica e farmaceutica, edilizia civile e demolizioni, smaltimento di rifiuti pericolosi e non, smaltimento di reflui e acque nere.   La tutela ambientale è considerata seriamente dalle aziende di tutti i settori; l’indagine effettuata rileva però che le aziende del comparto chimico sono quelle che stanno lavorando più attivamente per limitare il proprio impatto sull’ambiente, oltre ad essere le più soggette a normative e controlli severi. Le preoccupazioni principali riguardano la gestione di materiali e rifiuti pericolosi, lo scarico di acque reflue, lo smaltimento dei rifiuti, le emissioni atmosferiche.   Investimenti sostenibili: dall’etica alla certificazione ambientale   Il rispetto di leggi e normative è uno dei motivi principali che spinge le aziende ad intraprendere iniziative di salvaguardia ambientale, a favore della sostenibilità, accompagnata molto spesso da campagne di advertising in grado di trasmettere i valori e l’etica dell’azienda. Le esigenze e le richieste dei consumatori incidono notevolmente, così come i piani messi a punto dalle istituzioni: riduzione delle emissioni di gas serra di almeno il 40% al 2030. Più del 70% delle aziende ha intrapreso azioni concrete volte al miglioramento della reputazione ambientale, spesso ricorrendo alla certificazione ambientale. Oltre il 90% degli intervistati ha affermato di mantenere o incrementare il livello degli investimenti. Il 43% delle aziende ad alto rischio e il 48% delle industrie chimiche confermano di aumentare il numero di investimenti in tutela ambientale negli anni a seguire.   Sostenibilità e competitività: attuare comportamenti virtuosi   Migliorare l’intero ciclo produttivo e le attività ad esso connesse, porta un vantaggio anche competitivo per l’azienda, ne rafforza il brand e i valori che esso rappresenta. Bisogna attuare misure sostenibili in tutte le fasi della catena – produzione, imballaggio, trasporto, utilizzo, riciclo – creando un’integrazione tra cittadini, istituzioni e imprese al fine di costruire e fortificare le sinergie necessarie allo sviluppo sostenibile.   La sostenibilità aziendale è raggiungibile attuando comportamenti virtuosi: controllo delle emissioni di gas climalteranti riduzione degli sprechi di energia, risorse idriche e materie prime diminuzione dell’uso di plastica, carta e altri materiali difficili da smaltire corretta gestione dei rifiuti predilezione per fornitori che sostengono lo sviluppo sostenibile, ad esempio con produzione attraverso processi di riciclo maggiore digitalizzazione nei processi produttivi e logistici sensibilizzazione sui temi di politica ambientale a tutti i dipendenti dell’azienda   Sempre più aziende investono oggi su progetti innovativi di efficienza energetica, ricorrendo all’utilizzo di fonti rinnovabili e realizzando prodotti a minor impatto. Un’impresa che gestisce il proprio business in modo sostenibile minimizza i rischi legati all’impatto ambientale. Tra i vari strumenti a disposizione vi sono i sistemi di gestione, certificabili, quindi riconoscibili da tutti gli operatori del mercato.   Il sistema di gestione dell’energia ISO 50001 permette di aumentare e migliorare l’efficienza energetica in azienda. Con un uso razionale e consapevole dell’energia si eliminano gli sprechi, diminuiscono i consumi e si riducono le emissioni di CO2.   Rendi visibile il tuo impegno, costruisci un futuro sostenibile per la tua azienda   La comunicazione e la trasparenza sono strumenti in grado di trasmettere in modo tangibile visioni, iniziative e prospettive dell’azienda. Le certificazioni, come la EPD  e la Carbon footprint, consentono a clienti, consumatori e stakeholder di verificare le informazioni, i valori e l’approccio ambientale dell’azienda.   Riconosciamo la sostenibilità come un’opportunità, un impegno fondamentale per la salvaguardia ambientale, una leva di crescita e di rafforzamento della brand identity.   Lasciati guidare nel tuo percorso di sostenibilità aziendale dai nostri esperti di energy management.

Guida ai Sistemi di Gestione Ambientale

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La gestione ambientale riguarda tutte le attività che comportano l’interazione dell’impresa con l’ambiente, come le fasi del processo produttivo, legate al consumo di materie prime, energia e produzione di rifiuti. I Sistemi di Gestione Ambientale sono sempre più diffusi tra le imprese, grazie al loro contributo al modello di crescita sostenibile. Fungono da supporto alle politiche ambientali locali, all’innovazione gestionale interna e al miglioramento delle relazioni con il territorio. Adottare un Sistema di Gestione Ambientale – SGA – aggiunge valore all’impresa rispetto ai competitor non certificati. Di seguito facciamo un po’ di chiarezza sulle caratteristiche e i vantaggi per l’organizzazione che l’adotta.   Cosa sono i Sistemi di Gestione Ambientale e a cosa servono   I Sistemi di Gestione Ambientale sono strumenti volontari applicabili a tutte le organizzazioni che vogliono migliorare le prestazioni ambientali. L’adozione di un SGA, anche se volontaria, rappresenta una scelta strategica per l’azienda: le green practice e la sostenibilità ambientale sono strettamente collegate alle performance e al successo dell’impresa.   L’impostazione alla base di un Sistema di Gestione Ambientale è il Ciclo di Deming, il quale consente il miglioramento continuo di tutti i processi aziendali:   PLAN: pianificare prima di agire DO: attuare le azioni studiate CHECK: verificare l’esito delle azioni attuate ACT: valutare i risultati ottenuti o ripetere il processo se non conformi agli obiettivi prefissati   Il monitoraggio delle attività, l’esame dei risultati ottenuti e delle eventuali non conformità portano ad un miglioramento continuo nell’organizzazione che adotta un SGA.   I Sistemi di Gestione Ambientale si integrano agli strumenti ordinari e volontari adottati dall’impresa per la programmazione strategica e gestionale, assieme ad altri strumenti come ad esempio il bilancio ambientale, il bilancio di sostenibilità e il Green Public Procurement. I Sistemi di Gestione Ambientale possono essere attuati attraverso due standard normativi: ISO 14001 a livello internazionale e Regolamento EMAS a livello europeo.   I Sistemi di Gestione Ambientale ISO 14001 ed EMAS: definizione e differenze   La ISO 14001 e l’EMAS hanno come obiettivo comune il miglioramento continuo delle prestazioni ambientali.   L’EMAS – Eco Management and Audit Scheme – è uno strumento a base volontaria creato dalla Comunità europea nell’ambito del V Programma d’azione dell’Unione europea, a favore dell’ambiente. La supervisione è affidata ad un organismo statale che in Italia è rappresentato dal Comitato Ecolabel-Ecoaudit.   L’EMAS consente ad aziende ed organizzazioni di valutare, migliorare e rendicontare le loro prestazioni ambientali; si distingue dagli altri SGA in quanto garantisce le prestazioni, la qualità e la trasparenza di un’organizzazione.   La ISO 14001 “Sistemi di gestione ambientale – Requisiti e guida per l’uso” è una norma internazionale applicabile a qualsiasi tipo di organizzazione pubblica o privata, che specifica i requisiti di un Sistema di Gestione Ambientale.   Il Sistema di Gestione Ambientale certificato ISO 14001 contribuisce a identificare, gestire e monitorare gli impatti ambientali che derivano dalle attività di un’organizzazione, al fine di migliorare le prestazioni ambientali. Fornisce un quadro sistematico per l’integrazione di pratiche a sostegno della protezione ambientale, prevenendo l’inquinamento, riducendo l’entità dei rifiuti, il consumo di energia e dei materiali. É facilmente integrabile con altri sistemi di gestione come ISO 9001, OHSAS 18001, ISO 50001 ed è recepita integralmente nel Regolamento EMAS 1221/09.   A differenza dell’EMAS non comporta l’obbligo di una dichiarazione ambientale, di una sua convalida e di una registrazione ufficiale da parte dell’Organismo nazionale competente, in un elenco pubblico.   Regolamento EMAS: caratteristiche e vantaggi   Il regolamento EMAS è applicabile a tutti gli Stati membri Ue, agli Stati membri dello Spazio economico europeo e ai Paesi candidati all’adesione all’Ue. La revisione del Regolamento nel 2010 ha introdotto l’aggiunta di EMAS Global, il programma aperto anche alle organizzazioni non europee e a quelle europee che operano in Paesi terzi.   Le organizzazioni registrate EMAS possono utilizzare un apposito logo secondo le procedure ed i requisiti di utilizzo stabiliti dal Regolamento stesso. Per ottenere e mantenere la registrazione EMAS è necessario che vi sia una valutazione di conformità da parte di un ente accreditato, il quale si occupa anche di validare la dichiarazione ambientale.   L’obbligo di redigere la dichiarazione ambientale rappresenta il valore aggiunto dell’EMAS, in quanto manifesta in modo esplicito il rispetto degli impegni ambientali assunti dall’organizzazione, gli obiettivi raggiunti e come si intende procedere nel miglioramento continuo.   La registrazione EMAS, infatti, consente di ricevere un riconoscimento pubblico che conferma la qualità ambientale e garantisce l’attendibilità delle informazioni inerenti le performance ambientali. In caso di più siti produttivi, si può beneficiare della procedura di registrazione multisito: un’ambiziosa strategia ambientale per l’organizzazione.   Nel 2005 la Commissione europea è diventata la prima istituzione europea registrata all’EMAS.   Certificazione ISO 14001: caratteristiche e vantaggi   La certificazione ISO 14001 consente alle organizzazioni, pubbliche e private, di dimostrare il rispetto delle norme ambientali: un atto migliorativo e un’opportunità per elevare le prestazioni ambientali. La norma ISO 14001 è suddivisa in 10 sezioni, di cui 3 introduttive. Le altre 7 definiscono i requisiti per il Sistema di Gestione Ambientale:   Contesto dell’organizzazione: identificare problematiche e aspettative dell’organizzazione, definire lo scopo dell’implementazione della ISO 14001 Leadership: dimostrare l’impegno nei confronti del SGA comunicando la politica ambientale e assegnando ruoli di responsabilità nell’organizzazione Pianificazione: valutare rischi e opportunità del SGA, identificare obiettivi e piani per conseguirli; valutare in che modo i processi organizzativi interagiscono con l’ambiente e lo influenzano Supporto: gestire le risorse per il SGA, comunicazione, responsabilità e controllo delle informazioni documentate Funzionamento: identificare eventuali situazioni di emergenza e pianificare soluzioni Valutazione delle prestazioni: monitorare in modo corretto il funzionamento del SGA, tramite misurazione dei processi, valutazione della conformità ambientale, audit interni Miglioramento: migliorare nel tempo l’SGA, quindi valutare le non conformità di processo e l’adozione di azioni correttive   Con la certificazione ISO 14001 la tua impresa ottiene diversi vantaggi:  riduzione dei costi gestionali grazie all’uso razionale delle risorse riduzione dei rifiuti ed emissioni inquinanti connesse diminuzione dei costi energetici miglioramento dell’immagine e della credibilità riduzione dei premi assicurativi (migliorare i controlli ambientali può aiutare l’azienda ad ottenere un premio

Vendere prodotti online su marketplace: l’alternativa sostenibile per le aziende produttrici

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Negli ultimi anni stiamo assistendo ai cambiamenti dei modelli di produzione e di consumo, in cui emerge un’offerta di prodotti sempre più integrata, personalizzata, volta ad una maggiore attenzione alle necessità del cliente. I canali di distribuzione, a loro volta, si stanno innovando, grazie alle nuove sfide e opportunità che si presentano nel mercato. La spinta all’evoluzione è stata stimolata dai cambiamenti che hanno caratterizzato sia il settore distributivo, con l’emergere di e-commerce e marketplace, sia quello produttivo, incentrato su prodotti sostenibili e biologici.   Innovazione e produzione: perché investire nella vendita online   Il comparto produttivo richiede grande attenzione da parte di tutta la filiera. È necessario rivedere le modalità e le tecnologie di produzione che spesso risultano poco attente agli impatti ambientali connessi: sfruttamento eccessivo di materie prime, utilizzo di risorse energetiche non rinnovabili, emissione di sostanze inquinanti, impiego di materiali non sostenibili per il packaging e una scorretta gestione dei rifiuti.   Sfruttare le potenzialità delle innovazioni tecnologiche e dei canali commerciali alternativi consente di aumentare la produttività, migliorare la gestione delle imprese e promuovere al meglio prodotti e servizi. I marketplace hanno la capacità di diventare un punto di riferimento per i consumatori, con il  vantaggio di poter espandere il business a livello internazionale. Approfondiamo di seguito perché è importante per le aziende produttrici investire nella vendita online.   Canali di distribuzione: tipologie e metodi alternativi   I canali distributivi si distinguono principalmente in diretto e indiretto. Il canale di distribuzione diretto è tale quando tra il venditore e l’acquirente non vi sono intermediari – agenti, grossisti, distributori al dettaglio – . Un esempio di direct marketing è rappresentato dagli e-commerce. Il canale di distribuzione indiretto prevede, invece, la presenza di uno o più intermediari. Nel primo caso abbiamo un canale corto in cui il dettagliante compra dal produttore e vende al consumatore; nel secondo caso abbiamo un canale lungo, in cui il produttore vende al grossista, il quale gestisce la distribuzione o una rete di agenti incaricati della promozione in determinate aree di mercato.   Un fenomeno molto importante, specie per l’agricoltura italiana, è rappresentato dalla diffusione di canali commerciali alternativi: un fondamentale strumento per lo sviluppo dei mercati locali, delle produzioni tipiche e dell’economia rurale. Generalmente, i consumatori associano ai prodotti locali caratteristiche quali freschezza e genuinità, adozione dei metodi di produzione ambientalmente sostenibili, tracciabilità, intesa come origine geografica del prodotto. L’elevato impatto ambientale, dovuto alle tecniche agricole di produzione intensive e ai trasporti su grandi distanze, porta il consumatore ad apprezzare una produzione sostenibile, caratterizzata da un minor uso dell’energia ed emissione dei gas serra.   Come incrementare lo sviluppo dell’agricoltura italiana: la ricerca Ismea   Ismea – Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare – ha realizzato diverse indagini sul tema della vendita diretta e della filiera corta, con l’obiettivo di evidenziare le potenzialità dell’agricoltura italiana, gli strumenti più adeguati per l’incremento della competitività e il miglioramento della posizione degli agricoltori nella catena del valore, obiettivo, tra l’altro, della PAC – Politica Agricola Comune.   Negli ultimi anni, le produzioni di qualità certificata, biologiche e a Indicazione geografica, hanno registrato tassi di crescita importanti, in termini di domanda, offerta e certificazioni. I dati Istat ed Eurostat rilevano che nel 2017 le superfici biologiche hanno oltrepassato 1,9 milioni di ettari rispetto al 2010; il valore delle vendite biologiche, incluso il settore della ristorazione, ha superato i 2 miliardi di euro.   Opportunità per le aziende agricole: vendita diretta e filiera corta   Dalla ricerca Ismea emerge il confronto tra aziende agricole che vendono tramite marketplace e aziende con proprio e-commerce: le prime risultano caratterizzate da un’età media dell’imprenditore più bassa e da una dimensione inferiore. Un canale, quello del marketplace, in cui vendere prodotti agricoli on line, forniti da aziende partner di uno specifico territorio e gestiti da uno o più agricoltori; ciò a vantaggio di una fornitura continua delle materie prime e la presenza di competenze relative a vendita e logistica all’interno dell’azienda stessa.   La filiera corta rientra tra i canali alternativi di successo per le aziende agricole, in quanto anche la strategia commerciale è definita dall’imprenditore, senza intermediari. Si può raggiungere un mercato più vasto, ci si può presentare con un ventaglio più ricco di prodotti, con la possibilità di ottenere margini economici più interessanti. Inoltre, l’interazione diretta tra produttore e consumatore stimola al miglioramento e all’evoluzione, per quanto riguarda le innovazioni di prodotti e servizi offerti sul mercato.   La filiera corta: un vantaggio per produttori e consumatori   La filiera corta favorisce lo sviluppo economico di aree rurali marginali e riduce i rischi attribuibili al potere del mercato dei grossisti. La rivitalizzazione delle aree rurali crea un nuovo modello di sviluppo: il consumo di prodotti locali può rappresentare la strada per preservare il territorio rurale, a vantaggio di aziende agricole che possono insediarsi in aree urbanizzate. Inoltre, attraverso la filiera corta, si possono ridurre gli imballaggi, limitando l’impatto ambientale legato a produzione e smaltimento del packaging.   Vendere prodotti agricoli online valorizzando prodotti e territori   Promuovere e riqualificare il territorio e i suoi prodotti è una delle sfide più difficili, ma il panorama moderno e la digitalizzazione possono offrire tante opportunità da sfruttare.   L’Associazione nazionale La Spesa in Campagna è nata come iniziativa per valorizzare i territori, la filiera corta e la qualità dei prodotti agricoli. Gli obiettivi di questa iniziativa sono orientati a:   favorire le relazioni dirette tra agricoltori e consumatori far conoscere la storia e la qualità dei prodotti, da chi sono stati realizzati e quali sono i Paesi di origine garantire prezzi equi correlati ai processi produttivi, senza passaggi intermedi nella filiera   Il consumatore può acquistare mediante diverse modalità – dall’e-commerce al contatto diretto – da tutte le aziende che hanno aderito all’iniziativa.   Il progetto Campagna Amica è nato, invece, con l’obiettivo di creare un’aggregazione di produttori, in risposta alla forte domanda di made in Italy da parte dei consumatori. Si tratta di una rete internazionale che coinvolge più

Autoproduzione energia elettrica e risorse rinnovabili: chi è il prosumer?

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Bilanciare i flussi di energia elettrica attraverso la rete di trasmissione serve a garantire un corretto equilibrio tra domanda e offerta nel mercato energetico. L’energia può essere prodotta attraverso fonti rinnovabili e fonti non rinnovabili. Queste ultime si esauriscono man mano che sono consumate, occorre così impiegare ulteriori risorse per produrle nuovamente; per questo motivo hanno un impatto importante sull’ambiente, contribuendo all’inquinamento.   Investire sull’impiego di risorse rinnovabili per la produzione energetica equivale a ridurre l’impatto ambientale e raggiungere gli obiettivi Ue per il 2030.   Dal sistema energetico centralizzato a quello comunitario   Da un sistema di produzione di energia basato sui combustibili fossili si sta procedendo sempre più verso un sistema di produzione basato principalmente su fonti rinnovabili e sistemi orientati al risparmio energetico.   Il modello centralizzato di produzione energetica rende necessari grandi investimenti per la costruzione e la manutenzione delle reti di distribuzione e accentra il potere nelle mani di pochi produttori, sia per la sicurezza, sia per la continuità dell’approvvigionamento energetico. Nel modello distribuito, invece, il ruolo del produttore può essere assegnato a chiunque, senza che vi sia una gerarchia tra aziende e utenti finali.   Emerge in quest’ottica l’aspetto comunitario, dove non si è più consumatori passivi, bensì membri attivi di una comunità dinamica.   Chi è il prosumer?   Producer e consumer: dalla crasi di queste due parole emerge il termine prosumer. Il prosumer è produttore e consumatore evoluto di energia: consuma l’energia autoprodotta e ne immette in rete la parte rimanente; sfrutta, vende e guadagna in modo sostenibile. Sempre più autosufficiente, capace di richiedere alla rete una minore quantità di energia.   Rinnovabili e non rinnovabili: cosa vuol dire autoproduzione di energia?   Autoprodurre significa installare impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, ad esempio impianti fotovoltaici, solari, termici, impianti di cogenerazione, in modo da consentire all’azienda di autoprodurre una parte dell’energia che consuma. Si tratta di sistemi autonomi di accumulo collegati fra loro su reti locali che permettono di scambiare l’energia prodotta in eccesso. Ciò consente di aumentare l’indipendenza energetica. Ma come è possibile raggiungere questa autonomia?   I vantaggi dell’autoproduzione   È necessario che vi sia una completa integrazione dei sistemi di produzione e distribuzione di energia. Per poter ottenere il massimo vantaggio dall’autoproduzione e dalla generazione distribuita di energia, anche in termini di risparmio economico, c’è bisogno di un’interazione tra i soggetti che intendono scambiare l’energia prodotta.   Secondo l’Unione europea nel 2050 la metà dei cittadini europei potrebbe produrre da sé l’energia che utilizza, diventando quindi dei prosumer dell’energia.   Il vantaggio di produrre totalmente o parzialmente l’energia che si consuma comporta un abbattimento dei costi, traducendosi come soluzione efficace alla riduzione della povertà energetica.   L’autoproduzione di energia elettrica rappresenta un vantaggio sia per le aziende sia per i privati cittadini.   Risorse rinnovabili: produzione e distribuzione   Le risorse rinnovabili sono definite tali per la loro capacità di riprodursi ad una velocità superiore o uguale al loro tasso di utilizzo; sfruttano i raggi del sole, il vento, le maree, la pioggia, le onde, il calore geotermico e sono usate per la produzione di energia elettrica, per il riscaldamento e il raffreddamento di acqua e aria, per i trasporti e la fornitura di servizi energetici rurali non forniti attraverso una rete di distribuzione. Caratteristica importante è la loro distribuzione sul territorio.   L’uso delle risorse rinnovabili non esaurisce le fonti primarie; inoltre, i processi di trasformazione dell’energia non rilasciano sostanze inquinanti nell’aria, come quando si utilizzano fonti fossili. Il consumatore diventa protagonista dello scenario energetico, così come della transizione energetica.   Cos’è la transizione energetica?   La transizione energetica è il passaggio dalle fonti non rinnovabili a quelle rinnovabili: un processo che mira a modificare il sistema di produzione, distribuzione e consumo di energia.   L’Unione europea, nell’intento di procedere a una transizione energetica che mette al primo posto la decarbonizzazione, ha disposto il Clean Energy Package che fissa gli obiettivi da raggiungere entro il 2030. Ogni Stato membro ha elaborato un PNIEC – Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima – che stabilisce le politiche e le azioni da attuare per il raggiungimento dei traguardi stabiliti.   I benefici della transizione energetica sono principalmente ambientali, ma hanno ovviamente un impatto positivo anche sull’economia, sulla società e sul benessere delle persone.   Come può contribuire alla sostenibilità la tua azienda?   Il fabbisogno energetico da parte dell’uomo aumenta sempre più nel tempo, per questo motivo è chiaro che la quantità di energia disponibile non sarà più sufficiente per le richieste future. Riduzione dei consumi energetici, riduzione delle emissioni CO2 e riduzione dei rifiuti prodotti contribuiscono alla lotta ai cambiamenti climatici.   Il rispetto delle norme nazionali e degli accordi internazionali è un obbligo anche morale per le aziende. I nostri servizi ti consentono di incrementare l’efficienza degli impianti di produzione, valutare consumi energetici e razionalizzarli, con interventi definiti attraverso la diagnosi energetica; ottimizzi così i processi e riduci le emissioni di CO2, oltre ad assolvere un obbligo di legge.   Vuoi rendere sostenibile la tua azienda e contribuire a salvaguardare l’ambiente?   Scopri tutti i nostri servizi, compila il form.  

Criteri ESG e sostenibilità aziendale: fattori d’interesse per gli stakeholder

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Il miglioramento delle performance ESG è un’attività che interessa non solo le aziende di grande capitalizzazione o quotate in borsa. Oggi anche le PMI possono fare qualcosa di concreto per costruire un percorso efficace per la sostenibilità aziendale e consentire alle agenzie di definire il proprio rating ESG.   Criteri ESG e aziende sostenibili: responsabilità e sostenibilità per attirare grandi partner   I criteri ESG (Environment, Social e Governance) sono parametri utilizzati in ambito economico-finanziario per esaminare un investimento sotto la lente della sostenibilità. Si tratta di valutare il profilo di rischio/rendimento di un affare, che tiene conto sia degli aspetti economico-finanziari, sia di quelli che interessano la sfera ambientale, sociale e di governance.   Seguendo l’analisi delle performance ESG di un titolo, di un emittente, ma anche di un’impresa o di un’associazione, gli investitori hanno la possibilità di valutarne il rating ESG (o di sostenibilità), ossia il giudizio finale di tale analisi, e da qui stabilire se quell’investimento può definirsi sostenibile e responsabile, dunque Sustainable Responsible Investment (SRI). L’investimento è sostenibile e responsabile quando crea valore, sia per l’investitore che per la società.   La valutazione delle performance ESG interessa non solo gli investitori, ma anche tutta la comunità degli stakeholder, consumatori compresi. La società, tutta, oggi riserva maggiore attenzione alle tematiche sociali e ambientali, ecco perché lo sviluppo di strategie ESG interessano non più soltanto le imprese quotate in borsa, che devono migliorare il proprio rating ESG al fine di attirare gli investitori, ma anche le piccole e medie imprese.   Rating ESG: il rating della sostenibilità   Il rating ESG rappresenta il giudizio finale in merito alla solidità di un titolo, un fondo, un’azienda, un’organizzazione a seguito di un’analisi attenta che tiene conto dell’aspetto sociale, ambientale e di governance. Si tratta dei tre criteri ESG, i tre pilastri composti a loro volta da una serie di variabili che vengono attentamente esaminate.   La valutazione dell’impatto ambientale tiene conto di aspetti quali: le emissioni di anidride carbonica, l’efficienza nell’uso delle risorse naturali, l’attenzione alla crescita della popolazione, al cambiamento climatico, alla sicurezza alimentare e alla biodiversità.   L’analisi dell’impatto sociale considera, invece, i seguenti aspetti: il rispetto dei diritti umani, le condizioni di lavoro, l’attenzione all’uguaglianza e all’inclusione (sempre in relazione al trattamento delle persone) e il controllo della catena di fornitura.   In ambito di governance, l’analisi tiene conto invece degli aspetti legati alla struttura organizzativa: l’eventuale presenza di consiglieri indipendenti, la costituzione del CdA, le politiche di diversità in atto (genere, etnia, ecc.) ed anche la remunerazione del top management collegata a obiettivi di sostenibilità.   Ogni valutazione serve poi a stabilire il punteggio (score) finale prima dei singoli pilastri e poi del rating ESG.   Chi si occupa dell’elaborazione dei rating ESG?   Agenzie ed enti specializzati nella raccolta e nell’analisi dei dati. Queste elaborazioni seguono lo studio attento di informazioni pubbliche, documenti aziendali, dati forniti da autorità di vigilanza, associazioni di categoria, ecc.   È necessario chiarire che per favorire l’elaborazione del proprio rating ESG, le imprese – anche di piccole e medie dimensioni – devono rendere pubblici i risultati conseguiti, gli effetti delle policy ambientali e sociali attuate.   Sostenibilità aziendale: è possibile misurarla?   Certo, è possibile misurare la sostenibilità di un’azienda/impresa. Per farlo esistono diversi indicatori di sostenibilità, ma prima di definire quali sono è giusto chiarire un concetto.   L’espressione sostenibilità non riguarda solo la sfera ambientale. Secondo la teoria elaborata dall’imprenditore e accademico britannico John Elkington, per qualsiasi tipo di azienda e organizzazione la sostenibilità aziendale è il risultato di un processo di miglioramento continuo delle prestazioni economiche (profit), ambientali (planet) e sociali (people). È il concetto della Triple Bottom Line (TBL), secondo cui un’azienda deve lavorare simultaneamente su tre linee per proseguire verso il suo sviluppo sostenibile. È chiaro che secondo questa ed altre teorie, in relazione alla sostenibilità aziendale, il fattore tempo ha una grande rilevanza, dato che l’azienda deve misurare la sua capacità di confermare nel tempo le attività, tenendo conto dell’impatto che queste hanno sull’ambiente, sulla società e sul capitale umano.   Dunque, è importante definire gli obiettivi a lungo termine della strategia per la sostenibilità aziendale, ma è altrettanto importante misurare costantemente la distanza rispetto a questi e la coerenza delle proprie azioni. Per farlo ci si serve degli indicatori di sostenibilità.   Gli indicatori della sostenibilità aziendale   “You can’t manage what you can’t measure”   “Non puoi gestire quello che non puoi misurare”   Peter Drucker   Dopo aver definito una policy ambientale, fissato gli obiettivi da raggiungere e intrapreso delle azioni concrete, arriva il momento di misurare quanto fatto; per farlo esistono i KPI della sostenibilità.   Nel report “Indicatori di performance per la sostenibilità” redatto da Greentire S. C. R. L., in collaborazione con l’Università Bocconi di Milano, sono evidenziati cinque livelli principali di KPI per la sostenibilità:   Conformità: livello che contiene tutti gli indicatori relativi alla conformità dell’azienda alla normativa locale, nazionale e internazionale e gli standard di settore; Effetti: livello relativo agli effetti utili a comprendere gli impatti che l’azienda ha sull’ambiente naturale e umano; Uso dei materiali e performance: livello che si riferisce agli indicatori capaci di definire i risultati dell’azienda in termini energetici, idrici, rifiuti ed emissioni; Supply chain: livello in cui rientrano tutti quei fattori che sono esterni all’azienda e che includono la supply chain, la distribuzione, l’uso e lo smaltimento del prodotto; Sistema sostenibile: livello che include tutti gli indicatori che misurano la performance aziendale in termini di impatto sulla qualità della vita, uso delle risorse idriche in base al grado di rigenerazione del territorio.   È giusto precisare che a questi indicatori se ne possono aggiungere tanti altri, proprio perché la sostenibilità è un concetto così complesso che può essere analizzato da diverse angolazioni.   Strategia ESG e certificazioni ambientali   Le aziende che decidono di diventare realtà sostenibili scelgono di essere parte attiva del progetto Agenda 2030; essenze capaci di contribuire al raggiungimento degli obiettivi fissati dalle Nazioni Unite.  

Nasce il MiTE. Qual è la mission del Ministero della Transizione Ecologica?

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“È una sfida imponente e tutto l’esecutivo è impegnato a lavorare per portarla a termine. Abbiamo davanti a noi poco tempo per vincerla, ce lo dicono i dati scientifici sui cambiamenti climatici”.   Roberto Cingolani guiderà la transizione dell’Italia verso un futuro a emissioni zero. È la decisione presa dal Consiglio dei Ministri, il quale ha istituito quest’anno, nel mese di febbraio, il Ministero per la Transizione ecologica, come successore del Ministero dell’ambiente e della tutela del mare. Al MiTE sono, tra l’altro, attribuite funzioni in materia energetica, precedentemente assegnate al MiSE – Ministero dello Sviluppo Economico. Cingolani si occuperà dello sviluppo di tutti gli impianti rinnovabili, compreso l’eolico offshore e i relativi incentivi ed avrà il compito di creare una rete nazionale di ricarica per garantire i rifornimenti dei veicoli elettrici.   Energia: dal MiSE al MiTE   Al MiTE sono trasferite tutte le competenze del MiSE su rinnovabili, decarbonizzazione, efficienza energetica, ricerca e nuove tecnologie energetiche “clean”, mobilità sostenibile, piano idrogeno e strategie di settore, decommissioning nucleare, transizione sostenibile delle attività di ricerca e produzione di idrocarburi. Nell’art. 3 del Decreto si legge: “A decorrere dalla data di adozione del decreto, la direzione generale per l’approvvigionamento, l’efficienza e la competitività energetica e la direzione per le infrastrutture e la sicurezza dei sistemi energetici e geominerari del Ministero dello sviluppo economico, con la relativa dotazione organica e con i relativi posti di funzione di dirigente di livello generale e non generale, sono trasferiti al Ministero per la transizione ecologica”.   CiTE, il comitato per la transizione ecologica   Il Consiglio dei Ministri ha istituito anche il CiTE – Comitato interministeriale per la transizione ecologica, il quale avrà il compito di coordinare le politiche in materia di mobilità sostenibile, contrasto al dissesto idrogeologico e al consumo del suolo, risorse idriche e relative infrastrutture, qualità dell’aria ed economia circolare, individuando le azioni, le misure, le fonti di finanziamento, il relativo cronoprogramma e le amministrazioni competenti all’attuazione delle singole misure. Il Piano per la transizione ecologica servirà a coordinare le politiche energetiche.   Cosa vuol dire transizione ecologica?   Sviluppo economico correlato a principi di tutela ambientale, rispetto etico e sociale: da qui nasce il concetto di transizione ecologica, che ha l’obiettivo di creare un futuro sostenibile mantenendo gli equilibri planetari associati al benessere dell’umanità. La transizione ecologica presuppone un allontanamento dall’utilizzo dei combustibili fossili, il perseguimento di una maggiore efficienza energetica e l’implementazione dell’economia circolare in tutti i settori. Essa prevede fortissimi investimenti di riqualificazione del territorio e di innovazione tecnologica che permettano di produrre e consumare senza devastare il capitale umano.   Economia, clima, ambiente: il ruolo della digitalizzazione   “L’Italia deve diventare una nazione sicura e smart, in grado di disporre dei migliori strumenti per l’acquisizione dei dati del territorio, per prevenire le calamità naturali”.   Cingolani pone l’accento sulla digitalizzazione e sulle opportunità che ne derivano, come guida alla sostenibilità e alla tutela dell’ambiente. L’innovazione è fondamentale per crescere ed essere competitivi, ma non bisogna trascurare gli effetti che essa può avere sull’ambiente: si alla rivoluzione digitale, ma analizzando sempre ciò che facciamo e produciamo. Il Ministro ha tra l’altro annunciato che entro il 30 settembre definirà il Pitesai, il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee, la mappa delle aree dove si possono cercare ed estrarre idrocarburi.   Italia 1.5: Greenpeace e Accordo di Parigi si allineano   Greenpeace Italia ha lanciato, già prima della nomina di Cingolani, il Rapporto Italia 1.5, uno scenario di rivoluzione energetica all’insegna della transizione verso le rinnovabili e della totale decarbonizzazione del Paese. Un piano che permetterebbe di rispettare gli accordi di Parigi, portando vantaggi economici, occupazionali e di indipendenza energetica. Si prospettano due scenari:   emissioni zero al 2040 decarbonizzazione totale al 2050.   La rivoluzione energetica si allinea all’obiettivo dell’Accordo di Parigi sul contenimento della temperatura globale entro 1.5°C.   I punti chiave della transizione ecologica secondo Greenpeace   La transizione ecologica si pone l’obiettivo di costruire le basi per una nuova società responsabile e attenta agli equilibri planetari. Abbandonare definitivamente i combustibili fossili in favore delle energie rinnovabili è un’azione non più rinviabile, vista la correlazione con la transizione energetica. Secondo Greenpeace per mettere in atto la transizione energetica l’Italia deve puntare su:   Energie rinnovabili: è necessario un aumento degli investimenti nell’energia rinnovabile e interventi sulla rete elettrica per poter raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 fissati dalla Commissione Europea al 2030. Agricoltura ed economia circolare: intervenire sul sistema degli allevamenti intensivi per diminuire le emissioni di gas serra e impatto su ambiente e salute umana; bisogna puntare all’agroecologia, per ridurre l’uso di pesticidi e aumentare la superficie dedicata all’agricoltura biologica. Servono inoltre misure urgenti in tema di economia circolare, per prevenire e ridurre i rifiuti prodotti, soprattutto quelli derivanti dalla frazione monouso; bisogna responsabilizzare sempre di più i produttori, partendo dalla Plastic tax. Mobilità a emissioni zero: raggiungere l’obiettivo presente nel PNIEC – 6 milioni di veicoli elettrici nel 2030 – non diventa possibile senza investimenti su infrastrutture di ricarica e piani industriali che indirizzino in questa direzione il mercato. Sappiamo bene quanto il settore dei trasporti sia tra le principali fonti di inquinamento atmosferico. Stop definitivo delle trivelle: un divieto permanente ad ogni nuova attività di prospezione, ricerca e sfruttamento di gas e petrolio sul territorio nazionale, a terra e in mare. Tutela della biodiversità: sono necessari interventi che consentano di ripristinare l’integrità degli ecosistemi: tutelare e irrobustire il patrimonio forestale del Paese; per quanto riguarda la biodiversità marina l’impegno dell’Italia è tutelare il 30% dei suoi mari entro il 2030, progetto noto come “30×30”.   Lo sviluppo dell’LCA per raggiungere la transizione ecologica   Coerentemente alle azioni mirate alla riduzione delle emissioni inquinanti, al passaggio ad un’economia circolare, all’utilizzo di energie derivanti da fonti rinnovabili, il settore industriale è alla continua ricerca di metodi che siano in grado di rendere più green prodotti, attività, processi e servizi. Uno dei metodi più utilizzati e che ha avuto successo negli ultimi

Come ridurre la carbon intensity in Europa

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Questo contenuto è stato aggiornato in data 13/07/2021.   La sfida è coniugare un modello di sviluppo economico che permetta anche di ridurre le emissioni inquinanti.   L’Unione Europea ha disegnato una road map per arrivare alla neutralità carbonica entro il 2050. Intanto ha definito degli obiettivi intermedi, attraverso il quadro 2030 per il clima e per l’energia. L’intento è quello di ridurre di almeno il 55% le emissioni nette di gas serra (soglia iniziale pari al 40%, poi aumentata su approvazione della Commissione Ue nei primi mesi del 2021). Tra gli altri obiettivi ci sono: il raggiungimento di almeno il 32% di consumi energetici da fonti rinnovabili e un incremento di almeno il 32,5% dell’efficienza energetica (con probabili aumenti nei prossimi mesi).   Raggiungere l’obiettivo di riduzione delle emissioni CO2 significa prendere in considerazione molteplici fattori: il PIL, come espressione della capacità di investimento di un Paese, le proprietà dei sistemi energetici e produttivi, gli assetti industriali, le risorse energetiche utilizzate da ogni Paese. In quest’ottica non si possono non considerare gli investimenti per la lotta ai cambiamenti climatici per ridurre la carbon intensity delle nostre economie.   Occorre moltiplicare gli sforzi in tutti i settori economici per raggiungere l’obiettivo comune della neutralità climatica entro il 2050; è necessario rilanciare l’economia in modo più verde e resiliente per creare un futuro sostenibile.   Intensità energetica e PIL: qual è il rapporto?   Il valore dell’intensità energetica di un singolo Paese è dato dal rapporto tra consumo interno lordo di energia e PIL. L’intensità energetica è un indicatore della capacità di un sistema di trasformare il consumo di energia in produzione; è influenzato dall’efficienza energetica, dalla struttura produttiva, dal peso dei diversi settori, dalle condizioni climatiche, dagli stili di vita, dal contenuto di energia dei beni e servizi prodotti, dalla disponibilità di fonti energetiche e dalla possibilità di accedervi.   Il settimo obiettivo dell’Agenda delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile richiama la necessità di “assicurare l’accesso a energia pulita, a buon mercato e sostenibile per tutti”. Nei target di questo obiettivo si chiede di migliorare l’efficienza energetica con un raddoppio del tasso globale della stessa, entro il 2030. L’indicatore che permette di monitorarne i progressi è l’intensità energetica globale, la quale migliora ogni volta che il PIL mondiale cresce più rapidamente del consumo di energia primaria.   La correlazione tra emissioni e settori industriali   Confrontando l’andamento delle emissioni di gas serra con il PIL, nel periodo 1990-2016, nel Rapporto ISPRA “Emissioni nazionali di gas serra: indicatori di efficienza e decarbonizzazione nei principali Paesi europei” si evidenzia che la crescita delle emissioni è stata più lenta di quella dell’economia. Viene meno anche l’assoluta dipendenza tra emissioni e consumo energetico dovuto principalmente alla sostituzione di combustibili a più alto contenuto di carbonio con il gas naturale e l’incremento della quota di energia proveniente da fonti rinnovabili.   Le emissioni del settore trasporti mostrano una costante crescita, così come il settore civile, tra residenziale e servizi, il settore manifatturiero e costruzioni, nonchè quello dell’agricoltura e della pesca. Nell’UE-27 le emissioni di gas a effetto serra sono diminuite del 3,7 % nel 2019, mentre il PIL è cresciuto dell’1,5 %. Le emissioni sono diminuite del 24 % rispetto ai livelli del 1990.   Protocollo di Kyoto e gas climalteranti   I gas serra, presenti in modo naturale in atmosfera, svolgono un ruolo cruciale perché permettono al nostro pianeta di avere una temperatura idonea alla nascita e al mantenimento della vita. Le emissioni antropiche comportano però un aumento della concentrazione di gas serra a causa del rilascio di carbonio dovuto alla deforestazione, ai cambiamenti nell’uso del suolo e all’impiego di combustibili fossili.   Il protocollo di Kyoto fa riferimento a 6 gas climalteranti, ognuno dei quali ha un potenziale di riscaldamento che dipende dal tempo in cui rimane in atmosfera e dalla sua capacità di assorbire le radiazioni provenienti dalla terra:   anidride carbonica causata dall’impiego di combustibili fossili gas metano prodotto principalmente dalle discariche di rifiuti e allevamenti zootecnici protossido di azoto derivante dal settore agricolo e dalle industrie chimiche idrofluorocarburi impiegato nelle industrie chimiche e manifatturiere perfluorocarburi impiegato, anch’esso, nelle industrie chimiche e manifatturiere esafluoruro di zolfo di origine antropica   I potenziali climalteranti dei gas sono stabiliti dall’Intergovernmental Panel on Climate Change – IPCC.   Cosa si intende con intensità di carbonio?   Un’economia a bassa intensità di carbonio è quell’economia che nel realizzare beni e servizi riduce l’emissione dei gas climalteranti. L’intensità di carbonio rientra tra gli indici di valutazione dell’efficienza ambientale di un sistema energetico o, in termini più ampi, del sistema complessivo di produzione di beni e servizi. Una bassa intensità di carbonio corrisponde a un’elevata efficienza del sistema di trasformazione dell’energia.   Misura comune dell’intensità di carbonio è il peso di carbonio per British thermal unit (Btu) di energia. Le intensità di emissioni sono utilizzate per ricavare stime delle emissioni di inquinanti atmosferici o di gas serra. Inoltre, sono utilizzate anche per confrontare l’impatto ambientale di diversi combustibili o attività.   Per confrontare le emissioni provenienti da diverse fonti di energia elettrica si utilizza l’intensità di carbonio per chilowattora – CIPK.   Come si valuta la carbon intensity?   L’intensità di carbonio di un processo può essere valutata tramite diverse metodologie:   LCA – Life Cycle Assessment – valutazione dell’intero ciclo di vita: include le emissioni di carbonio derivanti da uno specifico processo, dalla produzione e al fine vita dei materiali, impianti e macchinari utilizzati per il processo considerato; WTW – Well too wheels – comunemente utilizzato nei settori Energia e Trasporti, considera le emissioni del processo e quelle derivanti da estrazione e raffinazione del materiale ma sono escluse le emissioni dovute a produzione e fine vita.   L’intensità di carbonio è anche utilizzata nella proiezione di possibili scenari futuri, come quelli utilizzati nelle valutazioni IPCC – Intergovernmental Panel on Climate Change – insieme ai cambiamenti futuri della società, nell’attività economica e nelle tecnologie energetiche. La correlazione tra queste variabili è trattata sotto l’Identità Kaya, la quale

Certificazione EPD per imballaggi alimentari: obiettivo sostenibilità

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I packaging sostenibili consentono di soddisfare diverse esigenze, sia delle aziende che dei consumatori, attenti tanto alla qualità del prodotto quanto all’impatto ambientale del suo contenitore. In questo senso, la certificazione EPD è un valido strumento, di supporto e di comunicazione. Scopriamone l’efficacia, l’attualità e l’importanza anche attraverso l’esperienza di importanti realtà imprenditoriali.   Gli imballaggi alimentari e l’attenzione alla sostenibilità   Negli ultimi anni, gli imballaggi alimentari sono stati oggetto di numerose attività di analisi e di ricerca; tutte orientate all’individuazione di materiali sostenibili, a basso impatto ambientale, ma comunque capaci di garantire ai consumatori un prodotto di qualità.   Le industrie del packaging si stanno evolvendo e sono già molte le aziende produttrici di film, bobine, imballaggi e pellicole che offrono soluzioni per packaging sostenibili.   Se da un lato le aziende mirano a soddisfare le richieste dei consumatori, oggi attenti tanto alla qualità dell’alimento quanto all’impatto ambientale del contenitore in cui si presenta, dall’altro si fanno largo anche altre necessità. Cresce l’esigenza di ridurre i consumi interni; non tutti sanno, infatti, che i materiali sostenibili permettono di ridurre del 70% il consumo di energia durante la fase di produzione. Aumenta il bisogno delle aziende di entrare in possesso di soluzioni che facilitino l’accesso ad agevolazioni e/o semplificazioni burocratiche/amministrative, sempre più rivolte a chi dimostra di rispettare l’ambiente. A queste esigenze si aggiunge anche la necessità di rispettare le norme che l’UE impone alle imprese in materia di packaging.   Dunque, potremmo così riassumere gli obiettivi del packaging sostenibile nel settore alimentare:   Protezione degli alimenti da agenti patogeni Biodegradabilità e/o riciclabilità Rispetto delle norme comunitarie in materia Compatibilità con le necessità interne all’azienda   Imballaggi alimentari: quando la sostenibilità va oltre la riciclabilità   Oltre alla biodegradabilità e alla riciclabilità, oggi c’è chi studia l’azione di film o pellicole per alimenti con potere antibiotico e addirittura commestibili. Esistono gli imballaggi compostabili, i film plastici biodegradabili come il PLA, ottenuto da risorse vegetali con l’amido di mais; i polipropileni e i materiali multistrato, fino alle pellicole alimentari al chitosano.   Queste ultime, ad esempio, secondo studi condotti dalla RUDN University di Mosca pubblicati su Food Chemistry, hanno potenzialità particolarmente interessanti. In pratica, dal guscio dei crostacei e dagli insetti è possibile ricavare la chitina, una sostanza che se trattata in un certo modo può essere impiegata per realizzare la base di alcuni imballaggi per alimenti. Il polimero del chitosano (ottenuto dalla chitina) affiancato a sostanze chimiche – chiamate azidi – genera l’azido-chitosano. Questo prodotto è privo di tossicità e pare che abbia anche un grande potere antibiotico, capace quindi di allungare la shelf-life (scadenza) dell’alimento, inibire e rallentare la proliferazione batterica senza dover più ricorrere agli antibiotici. Insomma, una vera rivoluzione.   I requisiti del packaging imposti dall’UE   Come anticipato sopra, l’UE fissa requisiti che le aziende dell’industria alimentare (e non solo) devono necessariamente rispettare. Quali sono?   Limitare il volume e il peso dell’imballaggio al minimo necessario, per garantire sicurezza, igiene e accessibilità al consumatore; Ridurre al minimo la presenza di materiali e sostanze pericolose nell’imballaggio o nei suoi componenti; Usare imballaggi riutilizzabili o recuperabili per compostaggio, biodegradazione o per recupero energia.   Come può un’azienda produttrice o utilizzatrice di imballaggi dimostrare la conformità del suo operato a queste norme? Conseguendo la certificazione ISO 14001 – sistema di gestione ambientale – oppure comunicando l’impatto ambientale dei prodotti offerti con l’EPD.   Sistema di gestione ambientale ISO 14001: cos’è e a che serve   Il sistema di gestione ambientale rappresenta un insieme di elementi utili per stabilire una politica ambientale interna e gestire le proprie interazioni con l’ambiente. L’implementazione di questo sistema di gestione avviene nel rispetto della norma internazionale volontaria ISO 14001, che fissa procedure e norme tecniche a cui l’azienda deve scrupolosamente attenersi.   L’EPD per l’impatto ambientale di prodotti: analizzare, comunicare e confrontare   Le aziende che intendono dimostrare a consumatori e stakeholders che gli imballaggi realizzati o utilizzati sono prodotti nel rispetto delle norme e dell’ambiente possono farlo mediante dichiarazioni ambientali di tipo III. Tra queste c’è la EPD.   EPD sta per Environmental Product Declaration (Dichiarazione Ambientale di Prodotto), una dichiarazione che permette di sottolineare l’impatto ambientale che un prodotto ha durante il suo intero ciclo di vita. Per farlo, ci si serve di metodologie efficaci, quali la LCA. L’EPD è anche un utile strumento di comunicazione, molto usata per confrontare prodotti similari o della stessa categoria.   Certificazione EPD per imballaggi alimentari: l’azione efficace di alcune aziende   Tra le tante aziende italiane che hanno scelto di adottare un approccio eco-friendly ci sono anche realtà che ci aiutano a diffondere l’importanza della certificazione EPD, quale strumento di supporto e di comunicazione.   Il 9 novembre 2020 Pro Food (Gruppo produttori imballaggi per alimenti freschi) che opera nell’ambito della Unionplast, ha pubblicato la prima EPD di settore, sugli imballaggi per alimenti freschi in polipropilene, pet e polistirene espanso. Realizzata con la PCR – Product Category Rules – 2019:13, questa fornisce informazioni certe e trasparenti circa l’impatto ambientale di questo tipo di imballaggi/confezioni.   Altra testimonianza riguarda l’esperienza dell’azienda bolognese Ilip che di recente ha pubblicato la sua prima EPD per cestini di ortofrutta, realizzati in pet riciclato. L’azienda ha voluto analizzare una delle confezioni più vendute nel 2018 (anno di inizio delle analisi). Altro esempio arriva invece dal gruppo Happy, controllata di Esperia; l’azienda ha prodotto una EPD per un imballaggio in polipropilene usato per il confezionamento di carni o pesce fresco.   Queste operazioni non riguardano il passato, ma soli pochi mesi fa, ciò dimostra quanto sia attuale l’esigenza di dimostrare l’impatto ambientale dei prodotti e l’efficacia dell’EPD.   I gruppi e le aziende di cui abbiamo appena parlato, per portare a termine le operazioni di studio, analisi e pubblicazione dell’EPD, hanno dovuto implementare in azienda una nuova figura professionale, l’LCA expert.   Noi di Tecno, invece, offriamo alle imprese interessate a conseguire la certificazione EPD l’esperienza e il supporto del nostro team di tecnici e ingegneri ambientali.   Vuoi

Aziende eco friendly: vantaggi e benefici delle azioni sostenibili

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L’obiettivo principale dell’ecosostenibilità è ridurre al massimo l’impatto ambientale di ogni azione per far si che anche le generazioni future possano godere delle risorse del pianeta. In campo energetico l’ecosostenibilità si esprime attraverso l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili e di prodotti cruelty-free, che non necessitano di materie prime di origine animale.   Il riciclo e il riuso permettono di riutilizzare materiali di scarto e di trasformarli in nuovi oggetti, senza causare sprechi. Molto spesso, infatti, si parla di riciclo creativo: nella moda, nel design e anche nel settore food, dove è sorta la “tendenza” di cucinare con gli scarti. Un trend che in realtà si colloca come una necessità, una cucina consapevole per ridurre lo spreco alimentare. Lo scarto di filiera diventa risorsa da valorizzare in una logica di simbiosi tra realtà produttive.   Sostenibilità condivisa: le iniziative delle aziende e i benefici che ne derivano   Attuare politiche di sostenibilità aziendale consente di attirare maggiori clienti e fornitori, a beneficio del bilancio economico dell’impresa, grazie a ricavi maggiori derivanti dall’abbattimento dei costi – ad esempio energetici – e dei processi a volte troppo poco digitalizzati a causa di tecnologie obsolete, quindi non rispettose dell’ambiente. Nella nostra quotidianità troviamo molte aziende che hanno intrapreso un percorso sostenibile. Ne citiamo alcune:   Carte d’Or, il noto marchio di gelati, ha ideato un packaging in bioplastica ottenuta dagli scarti dei mais. La vaschetta del gelato è in carta certificata PEFC e PLA – acido polilattico – che può essere smaltita nell’organico, evitando così un accumulo di rifiuti plastici. Ichnusa, brand sardo noto per la birra, ha prodotto delle bottiglie riconoscibili dal tappo verde – come simbolo di rispetto per l’ambiente – riutilizzabili per oltre 20 anni, riducendo così la produzione di vetro e tagliando di oltre un terzo le emissioni di gas a effetto serra. Skyscanner, il sito di ricerca voli a livello mondiale, ha reso disponibile il tag “Opzioni sostenibili” che identifica i voli che hanno minor impatto ambientale. Si stima che nel 2019, oltre 10 milioni di utenti abbiano scelto questa possibilità.   Triple Bottom Line di Elkington: i tre pilastri della sostenibilità   Nella seconda metà degli anni ‘90 John Elkington, consulente senior nel campo della responsabilità sociale d’impresa e dello sviluppo sostenibile, nonchè fondatore dell’organizzazione internazionale SustainAbility, coniò l’espressione Triple Bottom Line – TBL – per segnalare alle aziende la necessità di fornire un rendiconto sulle tre principali dimensioni della propria performance, economica, sociale ed ambientale, attraverso un unico documento destinato ad investitori, clienti e stakeholder.   Per generare risultati ed essere competitivi sul mercato, è necessario attuare una strategia d’impresa che comprenda le cosiddette 3P. Le tre P stanno per Planet, People e Profit: pianeta, persone e profitto. Questi tre termini si pongono come fondamenta per un’impresa ecosostenibile, la quale deve pensare, progettare e agire a livello ambientale e sociale senza mettere da parte ciò che riguarda le entrate economiche.   Adottare strategie ecosostenibili porta un vantaggio competitivo   Le imprese adottano sempre più processi che portano ad avere una strategia più o meno ecosostenibile, strategia che porta nuove forme di vantaggio competitivo. La diffusione di pratiche come il calcolo della carbon footprint ha rivoluzionato ancor più l’approccio delle imprese. Le aziende quindi guardano al futuro con crescente attenzione all’ambiente, mettendo  la sostenibilità al centro delle strategie aziendali.   Uno dei primi settori che ha subito questo cambiamento è quello del packaging, attraverso la creazione di prodotti realizzati con materiale riciclabile. Ma c’è anche chi punta a ridurre l’impronta idrica e di carbonio della filiera di produzione, per conoscere l’impatto ambientale e trovare gli strumenti per ridurlo.   Aziende eco friendly e la reputazione d’impresa   Diminuire il consumo di plastica, scegliere soluzioni meno inquinanti, rivolte allo sviluppo sostenibile, al risparmio energetico, è possibile solo con il contributo delle aziende. Si tratta di una catena che parte dalla produzione.   I buoni propositi dei consumatori restano tali senza una scelta attenta da parte delle aziende. Vi deve essere quindi un’integrazione totale da parte di tutta la catena produttiva e di consumo, affinchè si possa giungere all’obiettivo della salvaguardia ambientale.   La scelta green è anche una scelta di business. Un’azienda che introduce elementi green non solo rispetta la natura, ma presta attenzione alle necessità del cliente. Ciò riduce le distanze e crea fiducia nei consumatori, che avvertono un impegno reale e costante da parte dell’impresa. La reputazione di impresa è infatti la credibilità che questa ha di fronte alla società, in merito a tematiche che la società stessa reputa fondamentali.   Quanto incide il ruolo del consumatore?   Le nuove tecnologie e le aspettative dei consumatori incidono notevolmente sulle scelte delle aziende. Un’integrazione di strumenti, di idee, di pratiche che passano attraverso la figura del consumatore che diventa sempre più attivo nel processo di creazione del valore aziendale, tanto da essere definito prosumer. Un ruolo che si distacca dall’essere passivo ai processi produttivi, bensì partecipa in modo attivo nei processi di creazione, produzione, distribuzione e consumo.   L’edilizia sostenibile e la Green economy   Il settore edile si colloca tra quelli impegnati nella corsa alla sostenibilità. Grazie all’applicazione di tecnologie e tecniche costruttive per la riqualificazione energetica degli edifici, allo scopo di abbattere l’impatto ambientale, si genera una nuova edilizia legata al recupero, all’efficienza energetica e alla sicurezza antisismica.   Diventa necessario progettare secondo dei principi in ottica di green economy: considerare l’intero ciclo di vita di un edificio – LCA realizzare edifici ad energia quasi zero – nZEB inserire l’automazione per migliorare il funzionamento degli edifici, favorendo il controllo e il funzionamento degli impianti organizzare il cantiere secondo obiettivi di tutela e sostenibilità ambientale applicare l’economia circolare per ridurre l’impatto alla fine del ciclo di vita dell’edificio che diventa così una risorsa di materiali da riutilizzare formare e sensibilizzare gli operatori su regole, leggi e strumenti adeguati.   Con l’EPD, dichiarazione ambientale di prodotto, l’azienda dimostra che i materiali impiegati per i lavori edilizi rispettano i CAM – Criteri Ambientali Minimi – che attribuiscono

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