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Sostenibilità in azienda e pratiche sostenibili

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La sostenibilità riserva molteplici opportunità alle aziende, economiche, reputazionali, sociali, opportunità che consentono di avvicinare gli stakeholder, a cominciare dai dipendenti fino alle banche e agli enti creditizi, attenti al dominante criterio della sostenibilità.   Questa tesi è confermata dalla crescente attenzione delle imprese verso documenti quali report o bilanci di sostenibilità; aziende che si apprestano a rendicontare le proprie performance ESG pur non essendo ancora obbligate secondo quanto previsto dalla Corporate Social Responsibility Directive (CSRD).   La sostenibilità in azienda è determinata dalla presenza di policy e pratiche sostenibili, attività che possono essere individuate e implementate solo dopo aver attentamente indagato il livello di sostenibilità dell’azienda. Definire il punto di partenza, difatti, è essenziale per capire i gap esistenti, il proprio posizionamento rispetto al settore e dunque definire strategie efficaci per migliorarne le prestazioni.   Il 27 aprile 2023 l’Istat ha pubblicato lo studio “Pratiche sostenibili delle imprese nel 2022 e le prospettive 2023-2025”; dati da cui emergono informazioni interessanti e che invitano a riflettere sulla validità e riconoscibilità delle azioni sostenibili. Misurare la sostenibilità: perché è importante e quali strumenti preferire   Prima ancora di parlare delle pratiche sostenibili da implementare in azienda, di quelle più diffuse, di quanto già compiuto nel 2022 dalle imprese italiane in ambito di sostenibilità e di cosa ci si aspetta in futuro dalle stesse, è necessario soffermarsi su un concetto che non può essere tralasciato se la reale intenzione di un’impresa è di agire per la sostenibilità aziendale: la misurazione.   Misurare la sostenibilità significa esaminare il profilo aziendale sotto la lente della sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Cosa fa l’azienda per la tutela ambientale? Quali pratiche adotta per rendere più sostenibili i propri processi e/o prodotti? Quali risorse vengono utilizzate per sopperire al fabbisogno energetico aziendale? E in ambito sociale e di governance l’azienda adotta politiche specifiche per la tutela dei dipendenti? L’organico aziendale presenta figure addette allo sviluppo della sostenibilità aziendale?   Le imprese che intendono indagare sul rendimento aziendale in ambito di sostenibilità devono dapprima trovare una risposta a queste ed altre domande, per poi comprendere che impatto hanno le azioni intraprese sull’ambiente, sulla società e sugli stakeholder, e definire strategie e pratiche efficaci per il raggiungimento di nuovi obiettivi da raggiungere per la sostenibilità aziendale. La sostenibilità in azienda: gli strumenti di assessment   Per conoscere il proprio livello di sostenibilità le imprese si sottopongono a strumenti di assessment volti a definire le performance aziendali in ambito ESG, indagare il settore di pertinenza e individuare le possibili azioni da implementare per migliorare il proprio rendimento.   Gli strumenti di assessment sono piuttosto diffusi, talvolta si tratta di questionari online gratuiti o di piattaforme di valutazione a pagamento (ad esempio: EcoVadis) che attraverso quesiti o indicatori specifici guidano l’azienda verso la conoscenza del proprio rendimento e della catena di fornitura.   Per compiere una scelta consapevole e vantaggiosa è essenziale preferire strumenti di assessment riconosciuti e certificati da enti internazionali , garanti di un approccio metodico e trasparente per la valutazione della sostenibilità aziendale. Pratiche sostenibili: dalla tutela ambientale alla sostenibilità sociale ed economica   Le imprese compiono azioni diverse per rafforzare e migliorare il proprio rendimento in tema di sostenibilità. Lo studio pubblicato dall’Istat lo scorso aprile “Pratiche sostenibili delle imprese nel 2022 e le prospettive 2023-2025” evidenzia una maggiore attitudine alle pratiche di sostenibilità da parte delle grandi imprese, con l’81,5% rispetto al 36,1% delle piccole imprese.   Nel 2022 le imprese più attive in tema di sostenibilità sono state le imprese manifatturiere (59,5%) e le imprese di servizi (50,4%). In entrambi i settori sembra più evidente l’attenzione a pratiche di tutela ambientale, seguite dalle azioni per la sostenibilità sociale ed economica.   Tra le pratiche sostenibili più diffuse vi sono: il ricorso all’uso di fonti energetiche rinnovabili e ad azioni per l’efficienza energetica; segue l’interesse a processi circolari per il riciclo dell’acqua, l’uso di materie prime seconde, l’adesione alla simbiosi industriale.   Il 64,5% delle imprese manifatturiere intervistate per l’indagine Istat dichiara che nel triennio 2023-2025 sarà ancora più attivo in questo ambito. Una tendenza in crescita confermata dal 52,5% delle imprese di servizi che dichiara un maggior impegno con azioni concrete in tutti gli ambiti di sostenibilità indagati.   La sostenibilità di un’azienda si misura in base alle attività e pratiche che la stessa mette in atto in ambito ESG – Environment, Social, Governance. Le pratiche per la tutela ambientale (Environment) sono orientate alla misurazione e al miglioramento nel tempo dell’impatto che attività, processi e prodotti aziendali hanno sull’ambiente. Queste pratiche – che trovano concretezza in studi e sistemi di gestione che seguono norme ISO – puntano:   alla riduzione dell’impronta climatica e ambientale dell’organizzazione, di prodotti o servizi; alla gestione responsabile delle risorse energetiche, dell’acqua, dei rifiuti; all’implementazione di tecnologie e metodi per lo sviluppo di processi circolari, volti al riuso e al riciclo di materie prime seconde, scarti di produzione, rifiuti e risorse naturali. Le pratiche di sostenibilità sociale (Social) riguardano le politiche adottate, i protocolli implementati e le azioni compiute dall’azienda per la cura, la crescita e la gestione dei dipendenti, per lo sviluppo della comunità locale e per la promozione dei temi e dei valori cari all’azienda.   La sostenibilità nella gestione dei dipendenti è strettamente connessa, ad esempio:   all’implementazione di un sistema di gestione per la salute e la sicurezza dei lavoratori conforme alle norme legislative in vigore; all’adozione di procedure atte a garantire luoghi di lavoro puliti; alla definizione di un piano per la formazione professionale generale e specifica dei dipendenti; all’introduzione di strategie finalizzate al benessere dei lavoratori, per garantire l’equilibrio vita-lavoro (es.: servizi di assistenza all’infanzia, corsi di wellness, ecc.), per assicurare la parità di genere e salariale, l’inclusione, la comunicazione interna; all’implementazione di procedure per garantire la privacy e la sicurezza dei dati. Inoltre, sono pratiche di sostenibilità sociale anche le azioni che l’azienda compie verso la comunità locale, investendo parte del proprio valore a favore dello sviluppo della società, attraverso:   attività di

Adattamento ai cambiamenti climatici: dal PNACC alla dichiarazione DNSH

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L’introduzione al Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNACC) svolge un ruolo fondamentale nel contesto della gestione del cambiamento climatico.   Questo strumento  strategico fornisce una panoramica delle sfide che il cambiamento climatico presenta al contesto nazionale, nonché delle strategie e delle azioni pianificate per mitigare gli impatti negativi e sfruttare le opportunità emergenti.   Esploriamo insieme l’iter giuridico che ha condotto all’introduzione del PNACC nell’ordinamento giuridico italiano, le sue implicazioni pratiche e il legame che sussiste tra gli obiettivi del piano e il principio del Do Not Significant Harm (DNSH) che sta alla base delle misure previste dal PNRR. Il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici: struttura e funzione   Il Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica (MASE), con decreto n. 434 del 21 dicembre 2023, ha approvato il PNACC, Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici.   É stato un passo fondamentale per la pianificazione e l’attuazione di azioni di adattamento al cambiamento climatico in Italia, in linea con i provvedimenti internazionali sul tema, come la Strategia di adattamento che la Commissione europea ha pubblicato nel 2021.   Il Piano rappresenta il risultato di una serie di iniziative ambientali iniziate nel 2015, anno in cui il Ministero dell’Ambiente ha elaborato un documento strategico contenente i criteri d’azione per fronteggiare i cambiamenti climatici, ovvero la Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (SNAC).   Dopo un lungo iter di approvazione, a dicembre 2023 il MASE ha approvato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici: un documento programmatico con 300 misure di contenimento e strategie di adattamento a fenomeni quali il riscaldamento globale e gli eventi naturali che ne conseguono.   La struttura del PNACC è così articolata: 1. Quadro giuridico di riferimento; 2. Quadro climatico nazionale; 3. Impatti dei cambiamenti climatici in Italia e vulnerabilità settoriali; 4. Misure e azioni del PNACC; 5. Modalità di finanziamento per l’adattamento ai cambiamenti climatici; 6. Governance dell’adattamento.   Da una parte il PNACC ha come obiettivo la costruzione di un contesto organizzativo improntato sulla definizione di struttura e criteri di governance e sullo sviluppo delle conoscenze; dall’altra parte costruisce una cornice di riferimento per la pianificazione e la realizzazione delle azioni concrete da intraprendere come misure di contrasto e contenimento al cambiamento climatico. La dichiarazione DNSH e le misure di tutela dell’ecosistema Nel contesto delle misure internazionali di tutela dell’ecosistema globale si colloca il Regolamento Ue 2020/852, che ha delineato la cd. Tassonomia per la finanza sostenibile: un sistema di classificazione delle attività economiche sostenibili che individua i sei criteri utili a determinare se un’attività, un intervento o un progetto di investimento contribuiscono alla tutela dell’ecosistema, senza arrecare danni significativi all’ambiente, ovvero il cd. principio del Do Not Significant Harm (DNSH). I criteri delineati dal principio DNSH, appunto i criteri DNSH, sono alla base di tutti gli interventi previsti dal Piano nazionale di Ripresa e Resilienza. É lo stesso PNRR a stabilire che un intervento o un progetto di investimento, per essere conforme al principio DNSH, e per accedere alle agevolazioni previste dal Piano, deve rispettare i requisiti che il Regolamento UE definisce “Obiettivi climatici”, ovvero: non provocare significative emissioni di gas serra (Obiettivo climatico 1 – Mitigazione dei cambiamenti climatici); non apportare un maggiore impatto negativo sul clima, attuale e futuro, sulle persone, sulla natura e sui beni (Obiettivo climatico 2 – Adattamento ai cambiamenti climatici); non danneggiare lo stato dei corpi idrici, né comporta il deterioramento delle loro qualità o la riduzione del loro potenziale ecologico (Obiettivo climatico 3 – Uso sostenibile e protezione delle risorse idriche e marine); non provocare significative inefficienze nell’uso di materiali riciclati o recuperati, non alimenta l’aumento dei rifiuti, il loro incenerimento o smaltimento, causando danni ambientali a lungo termine (Obiettivo climatico 4 – Transizione verso l’economia circolare); non comportare l’aumento delle emissioni nocive nell’aria, nel suolo e nell’acqua (Obiettivo climatico 5 – Prevenzione e riduzione dell’inquinamento); non danneggiare le buone condizioni e la resilienza degli ecosistemi, lo stato di conservazione degli habitat e delle specie (Obiettivo climatico 6 – Protezione e ripristino della biodiversità e della salute degli ecosistemi). Il principio di “Do Not Significant Harm” (DNSH) è strettamente correlato al Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici in quanto entrambi si concentrano sulla gestione responsabile degli impatti ambientali e sociali, inclusi quelli derivanti dai cambiamenti climatici. Dichiarazione DNSH per le aziende: quando è obbligatoria? Le aziende che vogliono accedere alle risorse finanziarie previste dal Piano nazionale di Ripresa e Resilienza, per realizzare progetti di investimento o interventi, devono dimostrare che questi non siano dannosi per l’ambiente ed in linea con gli obiettivi climatici previsti dal principio DNSH. In sede di rendicontazione del progetto, è necessario presentare la cd. “Dichiarazione di conformità al DNSH”, indicando tutti i requisiti volti a verificare il rispetto degli obiettivi climatici delineati dal Regolamento UE 2020/852. Oltre a rappresentare un requisito di accesso alle agevolazioni, elaborare la dichiarazione DNSH comporta dei vantaggi per le aziende anche in termini di reputazione, perché costituisce una fonte certificata del proprio impegno sostenibile e una documentazione che attesta il rispetto degli obblighi normativi sul tema. Elaborare la Dichiarazione DNSH con il supporto di Tecno Dimostrare la conformità di un progetto di investimento non è un procedimento semplice, in quanto si tratta di un processo che consta di analisi dettagliate relative alla fase di elaborazione, scrittura e presentazione dello stesso. Queste analisi implicano un’attenta valutazione dell’impatto ambientale che il processo, prodotto o servizio offerti attraverso il progetto hanno per tutto il loro ciclo di vita. In Tecno possiamo offrirti un supporto concreto nella verifica della conformità del progetto o intervento al principio DNSH, facilitando l’ottenimento dei finanziamenti e delle agevolazioni previste dal PNRR. Dimostra la conformità del tuo progetto agli obiettivi climatici UE,  Costruiamo la crescita sostenibile della tua impresa. 

Carbon management: una strategia efficace per l’azienda e il pianeta

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Il carbon management rappresenta un approccio strategico e sistematico finalizzato alla gestione delle emissioni di carbonio all’interno delle organizzazioni. In risposta alle crescenti preoccupazioni globali legate ai cambiamenti climatici, le normative ambientali e i protocolli internazionali hanno introdotto il concetto di carbon management come parte integrante delle strategie aziendali orientate alla sostenibilità.    Questo approccio si concentra sulla misurazione, la riduzione e la compensazione delle emissioni di gas a effetto serra al fine di mitigare l’impatto ambientale delle attività aziendali.   Accordi ed iniziative come l’Agenda 2030 e il Green Deal europeo hanno tra gli scopi principali quello della riduzione delle emissioni di gas GHG (Green House Gases) e il raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2050.   Le strategie di carbon management rappresentano una risposta pratica a questa volontà istituzionale, educano le aziende al monitoraggio costante e al miglioramento continuo della propria impronta climatica e rappresentano un importante elemento di differenziazione competitiva.     Che azioni comprende la strategia di carbon management? Il carbon management, come anticipato, consiste in un insieme di pratiche e strategie atte a misurare, monitorare, ridurre e compensare le emissioni di gas a effetto serra prodotte dalle attività aziendali. Le azioni tipiche di carbon management comprendono: la misurazione e il monitoraggio delle emissioni: questa fase coinvolge la valutazione accurata delle emissioni di gas serra generate da tutte le attività aziendali. Questo può includere emissioni dirette (ad esempio, derivanti dalla produzione industriale) ed emissioni indirette (come quelle associate alla catena di approvvigionamento); la riduzione delle emissioni: le imprese implementano misure per ridurre attivamente le emissioni di carbonio prodotte. Ciò comporta l’adozione di tecnologie a basso impatto ambientale, azioni per limitare le emissioni legate al trasporto di materie e prodotti, agli spostamenti dei dipendenti, ecc.; la compensazione delle emissioni: quando le riduzioni dirette delle emissioni sono difficili da conseguire, le imprese possono impegnarsi in progetti di compensazione del carbonio. Questi progetti prevedono il finanziamento di iniziative ambientali, come la riforestazione o la produzione di energia da fonti rinnovabili. Calcolo carbon footprint e normative ISO di riferimento Lo studio carbon footprint rappresenta lo strumento cardine del carbon management, finalizzato alla misurazione e all’analisi delle emissioni di gas a effetto serra: correlate alle attività riconducibili ad un’organizzazione aziendale, nel caso della carbon footprint di organizzazione (CFO); relative a tutte le fasi di vita del prodotto, nel caso della carbon footprint di prodotto (CFP). Per la misurazione della carbon footprint è necessario attenersi alle indicazioni delle norme ISO specifiche sulla materia. L’adozione di tali norme serve a garantire accuratezza, coerenza e comparabilità delle informazioni sull’impronta di carbonio a livello sia di organizzazione che di prodotto. Le normative ISO che regolano l’analisi e la misurazione dell’impronta di carbonio sono: ISO 14064-1:2018, norma che fornisce le linee guida per l’organizzazione nella quantificazione e segnalazione delle emissioni e rimozioni di gas serra a livello aziendale; ISO 14064-2:2019, che fornisce specifiche e orientamenti a livello di progetto per la quantificazione, monitoraggio e segnalazione delle riduzioni delle emissioni di gas serra o miglioramenti nella rimozione. È pertinente per progetti specifici che mirano a ridurre o compensare le emissioni di gas serra; ISO 14067:2018, che si concentra sulla quantificazione dell’impronta di carbonio dei prodotti. Fornisce requisiti e linee guida per misurare e comunicare in modo accurato l’impatto ambientale legato alle emissioni di gas serra associate a un prodotto durante l’intero suo ciclo di vita; ISO 14021:2016, benché non specificamente focalizzata sulla carbon footprint, questa norma fornisce linee guida sull’uso di dichiarazioni ambientali autonome, consentendo alle organizzazioni di comunicare in modo chiaro e trasparente le prestazioni ambientali dei loro prodotti. Carbon footprint di organizzazione e carbon accounting   La carbon footprint di organizzazione, o impronta di carbonio aziendale, rappresenta la quantità totale di gas a effetto serra (GHG) emessi direttamente o indirettamente da un’organizzazione durante un periodo specifico, solitamente misurato in tonnellate di equivalente di anidride carbonica (CO2e).   Questa misura fornisce un quadro complessivo delle emissioni di gas serra legate alle attività dell’organizzazione, considerando l’intero ciclo di vita delle sue operazioni.   Per condurre una corretta analisi della carbon footprint di organizzazione è necessario integrare i processi di carbon accounting: metodologie per contabilizzare e quantificare le emissioni, basate sul protocollo internazionale GHG, il quale suddivide i gas a effetto serra prodotti da un’organizzazione in tre categorie:   Scope 1, ovvero le emissioni dirette, derivanti da fonti di proprietà o controllate dall’azienda. Un esempio di emissioni dirette è costituito dal gas naturale, dal carburante, o dalle emissioni da combustione in caldaie che l’azienda produce durante il suo ciclo di attività;   Scope 2, comprende tutte le emissioni indirette derivanti da fonti di energia acquistate o acquisite dall’azienda. Un esempio di emissione indiretta è costituito dall’energia elettrica acquistata da una società di servizi esterna. Questa seconda tipologia di emissioni è molto rilevante ai fini dell’elaborazione di una buona strategia di carbon management, perché costituisce un terzo di tutte le emissioni globali di gas a effetto serra;   Scope 3, include tutte le emissioni risultanti da attività provenienti da beni non posseduti o controllati dall’organizzazione ma che impattano indirettamente nella sua catena del valore.   Anche questa tipologia di emissioni costituisce una larga fetta di emissioni di gas a effetto serra a livello globale. L’EPA, Agenzia statunitense di protezione ambientale, ha classificato questa tipologia di emissioni in due categorie: Emissioni a monte, comprensive di tutte le emissioni indirette derivanti da attività attinenti ad una fase cd. dalla culla al cancello (Es. beni acquistati, distribuzione a monte dei prodotti, viaggi dei dipendenti); Emissioni a valle, ovvero tutte le emissioni indirette relative alla fase in cui i prodotti lasciano l’azienda (Es. distribuzione a valle dei prodotti, trattamento di fine vita, lavorazione). Carbon management: quali vantaggi riserva alle imprese?   Attuare le strategie di carbon management comporta una serie di vantaggi per le imprese, tra cui:   Miglioramento della reputazione del marchio: le aziende che adottano pratiche sostenibili e dimostrano un impegno concreto nella riduzione delle emissioni di carbonio spesso godono di una migliorata reputazione aziendale. Questo può attirare clienti, investitori

Decreto CER 2024: approvati gli incentivi per le Comunità Energetiche Rinnovabili

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Nel contesto dell’evoluzione delle dinamiche energetiche globali, le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) emergono come pilastri fondamentali per la transizione verso un sistema più sostenibile ed efficiente.  Le CER rappresentano un’innovativa risposta alle sfide legate alla produzione e distribuzione dell’energia, mirando a trasformare il modo in cui le persone consumano e condividono risorse energetiche. L’anno 2024 rappresenta un punto di svolta per il settore energetico in Italia. A riprova di questo l’emanazione del Decreto CER voluto dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) ed approvato dalla Commissione europea. Cosa sono le Comunità Energetiche Rinnovabili? Le comunità energetiche rappresentano una forma associativa che si può costituire tra cittadini, PMI, attività commerciali, amministrazioni comunali, enti di ricerca e formazione, enti religiosi, enti del terzo settore, associazioni. Si tratta di comunità che nascono con l’intento di generare benefici di natura ambientale, economica e sociale sia per i partecipanti a questa forma associativa, che verso l’esterno. Tra i vantaggi derivanti dalla costituzione di una Comunità Energetica Rinnovabile possiamo citare: L’autoproduzione di energia derivante da fonti rinnovabili; Un abbassamento dei costi energetici per cittadini ed aziende; La nascita di nuove opportunità, anche di natura economica, per il territorio in cui si costituisce la comunità energetica. Il Decreto CER, pubblicato il 23 gennaio 2024, prevede degli incentivi statali di natura finanziaria a favore delle CASER (incluse le CER) e condivide l’energia autoprodotta. Una sfida che mira alla promozione di pratiche concretamente sostenibili, capaci di diffondere modelli di distribuzione dell’energia innovativi ed inclusivi, e al raggiungimento degli obiettivi nazionali ed europei in tema di decarbonizzazione. Decreto CER 2024: gli incentivi statali   Gli incentivi previsti dal  Decreto CER sono destinati alle CACER (Configurazioni di autoconsumo per la condivisione dell’energia rinnovabile) definite alle lettere e), f) e g) dell’art. 2 del Decreto e si distinguono in due misure:   Incentivo in tariffa: misura rivolta alle configurazioni di tutto il territorio nazionale e consiste in una tariffa incentivante sull’energia condivisa, con un limite di potenza massima agevolabile di 5 GW fino al 31 dicembre 2027;   Contributo a fondo perduto (o contributo PNRR): misura di sostegno finanziario rivolto alle Comunità Energetiche Rinnovabili dei comuni sotto i 5.000 abitanti. Si tratta di un contributo a fondo perduto che può coprire fino al 40% dell’investimento sostenuto per la creazione della Comunità, con un limite di potenza agevolabile di almeno 2 GW fino al 30 giugno 2026. Entrambe le misure sono cumulabili, inoltre, tra i requisiti menzionati dal Decreto CER necessari per accedere agli incentivi figura anche la “clausola DNSH”, ossia bisogna dimostrare che gli impianti rispettino – per requisiti prestazionali ed ambientali – il principio Do Not Significant Harm (DNSH). Incentivi Comunità Energetiche Rinnovabili: come accedervi? Per accedere agli incentivi è necessario presentare domanda al GSE (Gestore dei Servizi Energetici) entro 120 giorni successivi alla data di entrata in esercizio degli impianti installati. Alla domanda bisogna allegare la documentazione necessaria alle verifiche del possesso dei requisiti previsti, tenendo conto delle regole operative diffuse dagli enti preposti. Gli interessati possono anche chiedere al GSE – in forma volontaria – una verifica preliminare di ammissibilità dei progetti. Inoltre, Il MASE suggerisce di seguire specifici step, quali: Individuare un’area dove realizzare l’impianto e gli utenti con cui associarsi connessi alla stessa cabina primaria; Costituire la CER con uno Statuto o l’atto costitutivo, che abbia come oggetto sociale prevalente i benefici ambientali, economici e sociali; Verificare in via preliminare con il Gestore Servizi Energetici (GSE) se il progetto può essere ammesso all’incentivo; Ottenere l’autorizzazione a installare e connettere l’impianto alla rete, per renderlo operativo; Richiedere, infine, l’incentivo al GSE. Il Decreto CER cerca di coinvolgere attivamente la comunità nella gestione e nell’utilizzo dell’energia rinnovabile. Ciò favorisce un maggiore senso di responsabilità ambientale e permette alle persone di partecipare attivamente alla transizione energetica. Tariffa incentivante: il premio riconosciuto sulla quota di energia condivisa   L’incentivo in tariffa è previsto per 20 anni, caratterizzato da una parte fissa ed una variabile e prevede maggiorazioni per gli impianti siti al Centro Nord e al Nord. L’importo del premio riconosciuto dipende dalla potenza dell’impianto e da calcoli che considerano il prezzo zonale orario dell’energia elettrica (Allegato 1 del Decreto CER). Contributo PNRR: quali sono le spese ammissibili? Il Decreto CER stabilisce dei limiti per quanto riguarda le tipologie di spese ammissibili, rispetto alle quali si può beneficiare del contributo a fondo perduto. Inoltre, sono previsti dei massimali di investimento. Nello specifico, le spese ammissibili sono relative a: Realizzazione di impianti a fonti rinnovabili; Fornitura e posa in opera dei sistemi di accumulo; Acquisto e installazione macchinari, impianti e attrezzature hardware e software; Opere edili strettamente necessarie alla realizzazione dell’intervento; Connessione alla rete elettrica nazionale; Studi di prefattibilità e spese necessarie per attività preliminari; Progettazioni, indagini geologiche e geotecniche; Direzione lavori e sicurezza; Collaudi tecnici e/o tecnico-amministrativi, consulenze e/o supporto tecnico-amministrativo essenziali all’attuazione del progetto. Le ultime quattro voci di spese di cui sopra sono finanziabili in misura non superiore al 10% dell’importo ammesso a finanziamento. I limiti del costo di investimento massimo sono: ▪ 1.500 €/kW, per impianti fino a 20 kW; ▪ 1.200 €/kW, per impianti di potenza superiore a 20 kW e fino a 200 kW; ▪ 1.100 €/kW per potenza superiore a 200 kW e fino a 600 kW; ▪ 1.050 €/kW, per impianti di potenza superiore a 600 kW e fino a 1.000 kW. L’importanza delle Comunità Energetiche Rinnovabili per un futuro sostenibile Le comunità energetiche rinnovabili favoriscono la decentralizzazione della produzione energetica. Consentendo alle comunità di generare la propria energia, si riduce la dipendenza da centrali elettriche tradizionali e si promuove una distribuzione più equa e resiliente dell’energia. Attraverso la costituzione di Comunità si promuove la sostenibilità coinvolgendo le persone e il territorio in maniera attiva e consapevole. Con l’uso di fonti di energia rinnovabile, si contribuisce alla riduzione delle emissioni di gas serra, che sono una delle principali cause dei cambiamenti climatici; è così che le comunità energetiche svolgono un ruolo significativo nell’abbassare l’impatto ambientale complessivo. Contatta i nostri consulenti per scoprire

Standard ESRS e reporting aziendale: novità per il 2024

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La consapevolezza dell’importanza della sostenibilità nel modo di fare impresa rappresenta da anni uno dei punti centrali della regolamentazione europea sul tema.   A dimostrazione di questo è possibile citare, primo fra tutti, il Green Deal europeo: pacchetto di iniziative e riforme giuridiche che hanno come scopo il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050.   Nel contesto del Green Deal la Commissione europea ha risposto alla crisi climatica con l’emanazione di una nuova direttiva: la direttiva n. 2464/2022, cd. Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) sugli obblighi di comunicazione di informazioni di carattere non finanziario.   Scopo essenziale della direttiva è stato quello di estendere il numero di imprese obbligate a fornire informazioni di carattere non finanziario circa l’impatto socio-ambientale dell’attività svolta. Un obiettivo chiaro, reso possibile dagli standard ESRS (European Sustainability Reporting Standards).   Nascita e diffusione degli standard ESRS   Valutare, misurare e rendicontare le performance aziendali in ottica ESG significa ricorrere a strumenti convenzionali quali il Report di Sostenibilità o il Bilancio di Sostenibilità, le cui fondamenta si rifanno agli standard stabiliti da enti ed organizzazioni internazionali.   Esempi di questi standard sono le linee-guida emesse dal Global Reporting Initiative, oppure i criteri della Sustainability Accounting Standards Board, o ancora i più recenti standard ESRS.   In vista dell’approvazione della Direttiva CSRD, la Commissione europea ha adottato dei regolamenti delegati contenenti gli standard europei utili alla rendicontazione della sostenibilità aziendale, ovvero gli standard ESRS, ai quali devono rifarsi tutte le imprese interessate dalla direttiva.   L’obiettivo della Commissione europea è quello di creare un sistema di regole e linee-guida sulle pratiche sostenibili e gli obblighi di informazione che siano allineati ed armonizzati rispetto agli standard definiti dagli enti internazionali (Esempio: Global Reporting Initiative Standards).   Gli standard ESRS sono emessi dall’European Financial Reporting Advisory Group (EFRAG), Organo consultivo indipendente nominato come consulente tecnico dalla Commissione europea per l’applicazione dei principi contenuti nella direttiva.   Dal momento di entrata in vigore della direttiva CSRD, ovvero gennaio 2024, l’EFRAG è tenuto ad aggiornare periodicamente gli standard ESRS anche e soprattutto con riferimento a quella parte di standard “di settore”, quindi specifici per attività aziendale svolta. Struttura degli standard ESRS ed imprese coinvolte   La struttura degli standard ESRS emessi dall’EFRAG si basa su 12 standard principali, che abbracciano i criteri ESG in linea generale.   I primi due standard sono applicabili in linea generica a tutti gli argomenti trattati dalla direttiva CSRD, mentre gli altri riguardano degli ambiti specifici:   ESRS 1, General requirements (Regolamento generale) ESRS 2, General disclosures (Regole di comunicazione) ESRS E1, Climate Change (Cambiamento climatico) ESRS E2, Pollution (Inquinamento) ESRS E3, Water and marine resources (Risorse marine) ESRS E4, Biodiversity and ecosystems​​ (Ecosistemi e biodiversità) ESRS E5, Resource use and circular economy (Uso delle risorse ed economia circolare) ESRS S1, Own workforce (Lavoratori) ESRS S2, Workers in the value chain (Catena di valore) ESRS S3, Affected communities (Comunità coinvolte) ESRS S4, Consumers and end-users (Consumatori ed utenti finali) ESRS G1, Business conduct (Condotta d’impresa)   La parte di ESRS relativa al Regolamento generale e alle regole di comunicazione delle informazioni (ESRS 1 e 2) fornisce indicazioni standard sulle norme di stesura e di contenuto relative agli strumenti utilizzati per rendicontare la sostenibilità. Trattandosi di standard generali e trasversali, sono obbligatori per tutte le organizzazioni coinvolte dalla direttiva CSRD.   Oltre a delineare un quadro normativo che abbraccia il concetto di sostenibilità in senso ampio, la direttiva CSRD e gli standard ESRS introducono il principio della doppia materialità: le imprese coinvolte dagli obblighi informativi e di rendicontazione sostenibile sono tenute a misurare l’impatto che l’attività d’impresa ha sulla società e sull’ambiente, e l’impatto che i cambiamenti ambientali possono avere sull’azienda stessa.   Le imprese obbligate a redigere il Report di Sostenibilità, secondo gli standard ESRS, ai sensi della direttiva CSRD sono le:   Società quotate in borsa che erano già soggette all’obbligo di Dichiarazione non finanziaria; Società di grandi dimensioni, ovvero con più di 250 dipendenti, o un fatturato > a 40 milioni di euro, o un bilancio superiore a 20 milioni di euro; PMI, per le quali gli obblighi previsti dalla direttiva avranno valenza dal 2027 in poi; Società non comunitarie, che hanno almeno una filiale o una succursale in territorio UE, sempre dal 2027 in poi.   Per la prima volta, nel panorama europeo, aumenta significativamente il numero di imprese tenute ad informare investitori, stakeholder e consumatori dell’impatto ambientale e sociale della propria attività, in maniera precisa e standardizzata. Perché affidarsi a Tecno per la rendicontazione sostenibile   L’apparato di obblighi informativi e di rendicontazione definiti dalla direttiva CSRD sono vincolanti soltanto nei confronti delle imprese di grandi dimensioni, quantomeno per il prossimo biennio.   Per quanto la conformità alla normativa non riguardi in maniera diretta le aziende di media dimensione e le PMI, in un’ottica di sostenibilità integrata è sempre conveniente redigere Report di Sostenibilità o Bilancio di Sostenibilità. Avere un approccio sostenibile rappresenta, ormai, una caratteristica di primario interesse che investitori e stakeholder hanno nei confronti delle aziende a cui si rivolgono. In Tecno ci impegniamo da 25 anni per promuovere e diffondere un modello d’impresa sostenibile. Scopri il nostro sistema di rendicontazione sostenibile. 

Certificazione parità di genere ed incentivi alle PMI 2024

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Le politiche di pari opportunità e parità di genere in ambito aziendale costituiscono un pilastro fondamentale per la costruzione di un ambiente lavorativo equo, inclusivo e sostenibile. In un’ottica di sostenibilità, intesa come adozione di modelli gestionali ed organizzativi attenti sia all’ambiente che alla società, principi quali la promozione della diversità e dell’inclusione, il perseguimento di politiche per la parità di genere e la riduzione del gender gap diventano parte integrante del modo di fare impresa. Il Sistema di certificazione e la sua funzione   Il Sistema di certificazione della parità di genere costituisce un intervento presente all’interno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), voluto dal Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri.   Si tratta di un insieme di iniziative volte alla promozione e al sostegno delle aziende nell’adozione di politiche di pari opportunità e riduzione del divario di genere.   L’obiettivo è di promuovere l’inclusione delle donne nel mercato del lavoro e garantire il principio di eguaglianza tra generi, elementi sempre più presenti nelle realtà aziendali orientate al progresso sociale ed economico.   Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, insieme alla Strategia Nazionale sulla Parità di Genere 2021/2025, delinea una volontà statale di incentivare le aziende ad ottenere la Certificazione della Parità di Genere e alla riduzione del gender gap.   Il Piano prevede, infatti, delle misure di sostegno finanziario alle PMI che adottano policy aziendali inclusive. Nello specifico, il PNRR ha stanziato 10 milioni per i costi di assistenza tecnica e rilascio della Certificazione di Parità di Genere.   Pur non essendo obbligatoria, la Certificazione per la Parità di Genere rappresenta la volontà aziendale di intraprendere delle scelte strategiche e valoriali orientate all’inclusione e all’applicazione pratica dei fattori ESG all’interno dei propri modelli gestionali; le pari opportunità rientrano a pieno titolo nei fattori Environmental, Social e Governance che guidano le scelte sostenibili delle aziende.   La Certificazione per la Parità di Genere e i KPI di riferimento   La prassi e le linee-guida sulla base delle quali viene strutturato il procedimento per ottenere la Certificazione per la Parità di Genere sono state delineate dall’UNI, Ente italiano di normazione, all’interno del documento programmatico UNI/PdR 125:2022.   Questo documento riassume i KPI (Key Performance Indicators), ovvero gli indicatori di performance sulla base dei quali monitorare sei aree di riferimento:   Cultura e Strategia; Governance; Processi HR; Opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda; Equità remunerativa per genere; Tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro.   Monitorare le aree sopra menzionate e garantire ai propri dipendenti un modello organizzativo che rispetti quanto più possibile i valori della Corporate Social Responsibility consente alle aziende di ottenere numerosi vantaggi, tra cui il superamento dei bias gestionali (errori o distorsioni nel modello di gestione) presenti all’interno dell’organizzazione.   Individuare un bias gestionale o un gap all’interno del proprio processo organizzativo e di governance non è un procedimento semplice, e questo con riferimento sia ad aziende di piccole che di grandi dimensioni. Per questa ragione è opportuno svolgere un’analisi integrata dei processi aziendali in ottica sostenibile e volta alle pari opportunità. Contributi 2024 alle PMI e Certificazione per le Pari Opportunità   Dal 6 dicembre del 2023, e fino al 28 marzo 2024, è possibile accedere agli incentivi di Unioncamere per aziende e PMI che adottano l’iter di ottenimento della Certificazione per le pari opportunità.   Le tipologie di contributi per cui è possibile fare richiesta sono due:   Contributi per i servizi di assistenza alle PMI per l’iter verso la Certificazione; Contributi per i servizi di rilascio della Certificazione per la Parità di Genere, sulla base dei requisiti stabiliti dal documento UNI/PdR 125:2022.   Per la prima tipologia di servizi, ovvero quelli di assistenza, sono previsti: Fino a 1.639,34 euro, per un massimo di 4 giornate di assistenza per l’analisi dei processi aziendali, il monitoraggio delle aree di riferimento e tutto quello che rientra nella consulenza sulla parità di genere; Fino a 409,84 euro  per una giornata di assistenza per la verifica della conformità del Sistema di Gestione adottato dall’impresa alle prescrizioni UNI/PdR 125:2022.   Per la seconda categoria di servizi, relativi al rilascio della Certificazione, l’azienda è tenuta a richiedere un preventivo all’Organismo di certificazione circa i costi del rilascio, per poi fare istanza e ricevere il contributo direttamente dall’Organismo scelto.   Le aziende che intendono fare domanda per l’ottenimento degli incentivi per la Certificazione per le Pari Opportunità sono tenute a svolgere un pre-screening sul portale Unioncamere, che avrà una valenza di autovalutazione. Promozione delle pari opportunità e attrazione dei talenti in azienda   Promuovere le pari opportunità in azienda è un fattore fondamentale per costruire un clima di lavoro sano, meritocratico ed orientato al progresso.   Da un punto di vista di Employee Branding, le aziende in possesso di una Certificazione per la parità di genere consegnano ai potenziali candidati un’immagine aziendale affidabile e concretamente impegnata nel rispetto dei criteri ESG; un elemento, questo, che genera vantaggi sulla brand reputation per i potenziali candidati e giovani talenti.   Le politiche di pari opportunità, il possesso della Certificazione per la Parità di Genere e la maniera in cui questi valori vengono comunicati all’esterno creano un clima aziendale positivo; fattori che aumentano il livello di coinvolgimento e di benessere dei dipendenti. Consulenza parità di genere: con Tecno è più semplice   Ottenere una consulenza per la parità di genere rappresenta un impegno che concretamente le aziende scelgono di assumersi per il perseguimento degli obiettivi di sostenibilità aziendale, in un’ottica ESG e di progresso sociale ed economico.   In Tecno sosteniamo le aziende nella realizzazione di un paradigma d’impresa in cui i principi della parità di genere sono integrati negli obiettivi aziendali, strutturando percorsi di sostenibilità personalizzati e trasparenti.   Il percorso di Certificazione per la Parità di Genere con Tecno consente di ridurre il divario di genere all’interno dei processi aziendali, attraverso l’adozione pratica di una policy a sostegno dell’inclusività.   Approfitta dei nostri consulenti esperti per ottenere la Certificazione Parità di Genere

Strategia e strumenti di sostenibilità aziendale: dall’ESG Assessment al Report di Sostenibilità

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Nel panorama aziendale in continua evoluzione, la consapevolezza dei criteri ESG (Ambientali, Sociali e di Governance) è più che mai cruciale per le aziende che mirano a un futuro sostenibile e redditizio. Ma come possono le imprese valutare e migliorare il proprio impatto in questi ambiti? Scopriamolo insieme. Misurare la sostenibilità: gli strumenti   Un fattore essenziale della strategia sostenibile è rappresentato dal monitoraggio e la verifica dei procedimenti aziendali, contesto in cui si collocano strumenti come il Report di Sostenibilità e l’ESG Assessment, volti alla misurazione dell’impatto aziendale e delle operazioni quotidiane in termini di sostenibilità.   Il monitoraggio e la verifica dei processi aziendali, e dell’impatto che tali hanno sull’ambiente, consentono alle aziende di valutare le proprie performance in un’ottica sostenibile ed integrata. Cosa significa?    Vuol dire valutare i processi dell’intera organizzazione aziendale in ottica ESG (Environmental, Social e Governance), misurando l’impatto che le attività aziendali hanno sia sull’ambiente, che sulla società.   Comprendere l’importanza di strumenti come l’ESG Assessment e il Report di Sostenibilità è fondamentale per definire strategie ed obiettivi sostenibili a lungo termine, attraverso l’analisi e la definizione della situazione di partenza. L’ESG Assessment nel rapporto con gli investitori   L’ESG Assessment è uno strumento di valutazione che analizza le performance di un’azienda in base a criteri ambientali, sociali e di governance. L’obiettivo è quello di valutare come l’azienda gestisce e affronta questioni legate alla sostenibilità e alla responsabilità sociale d’impresa.   Attraverso un ESG Assessment accurato, un’azienda può dimostrare agli investitori il proprio impegno nel percorso di crescita sostenibile e responsabile, incrementando il proprio valore. Un incremento che genera a sua volta una maggiore competitività sul mercato rispetto ai competitor.   Oltre ai benefici di natura reputazionale, l’ESG Assessment comporta una serie di benefici essenziali all’azienda, tra cui:   Una più efficiente gestione del rischio, perché si tratta di uno strumento utile ad individuare i gap esistenti e le azioni da implementare, in un’ottica di protezione dell’azienda da possibili impatti negativi futuri; Un aumento dell’efficienza operativa, conseguente all’individuazione di sprechi ed inefficienze. Correggere questi problemi riduce l’impatto ambientale e conduce a risparmi di costi significativi, migliorando l’efficienza operativa complessiva; Coinvolgimento e motivazione dei dipendenti. Attraverso strategie di analisi e miglioramento della cultura aziendale, i lavoratori risultano essere più motivati e contribuiscono concretamente al sostegno e alla promozione di azioni e valori sostenibili in azienda. In un mondo in cui la sostenibilità è al centro delle decisioni aziendali, l’ESG Assessment rappresenta uno strumento fondamentale per guidare le aziende verso una crescita eticamente e socialmente responsabile.   Report di Sostenibilità: di cosa si tratta e perché è importante Integrare la sostenibilità nei processi operativi quotidiani, produce due risultati: Riduzione degli sprechi; Promozione della responsabilità sociale all’interno dell’azienda. Il Report di Sostenibilità è il veicolo principale attraverso cui l’azienda comunica i propri sforzi e successi in termini di sostenibilità. Si tratta di uno strumento di rendicontazione e comunicazione delle proprie performance in ambito ESG, che permette di comunicare e condividere gli sforzi compiuti per migliorare i propri impatti sociali, ambientali ed economici. L’obiettivo principale del documento è quello di fornire una panoramica completa delle attività sostenibili e delle strategie adottate dall’azienda, contribuendo così a costruire la fiducia degli stakeholder e a dimostrare l’impegno verso la sostenibilità da un punto di vista concreto. Redigere un Report di Sostenibilità significa aprirsi ai feedback esterni, coinvolgere i lavoratori in maniera diretta nel processo di miglioramento delle strategie aziendali sostenibili ed implementare i processi che hanno il potenziale di produrre degli impatti positivi su società e ambiente. Report di Sostenibilità e standard valutativi   Gli strumenti di misurazione e verifica dei processi aziendali in ottica sostenibile, come il Report di Sostenibilità, sono redatti in base a standard e linee-guida definiti da Enti Internazionali. Tra gli standard e i riferimenti più importanti, alla luce dei quali valutare i risultati presenti in un Report di Sostenibilità, ci sono:   Gli standard GRI (Global Reporting Initiative): uno degli standard più diffusi per la rendicontazione delle performance di sostenibilità. Le linee guida del Global Reporting Initiative, l’Ente internazionale che ha predisposto gli standard GRI, forniscono un quadro completo per la rendicontazione della sostenibilità aziendale, coprendo aspetti economici, ambientali e sociali; I criteri SASB (Sustainability Accounting Standards Boards): standard definiti dall’Organizzazione Internazionale no profit Sustainability Accounting Standards Board, identificano i fattori ESG relativi ad ogni singolo sottosettore industriale o aziendale al quale sono riferiti; Le raccomandazioni della Task Force on Climate-related Financial Disclosures (TCFD): la TCFD si concentra sulle informazioni finanziarie legate al clima. Le sue raccomandazioni sono incentrate su come le aziende dovrebbero divulgare notizie relative al cambiamento climatico e ai rischi associati; La norma ISO 26000: fornisce linee guida su responsabilità sociale e sostenibilità, offrendo un quadro generale per le aziende che vogliono integrare la sostenibilità nelle loro pratiche aziendali; Il Carbon Disclosure Project (CDP): richiede alle aziende di divulgare informazioni sulla loro impronta di carbonio e sulle strategie per affrontare i rischi legati al clima.   Gli standard internazionali forniscono una linea-guida a stakeholder ed investitori nella valutazione dei risultati del Report di Sostenibilità, e rappresentano un corollario di principi applicabili a tutte le realtà aziendali. Misurare e comunicare la sostenibilità per accrescere il valore aziendale   La promozione della sostenibilità e l’applicazione concreta dei criteri ESG includono il monitoraggio, la misurazione e il reporting dell’impatto che i processi aziendali hanno su ambiente, società e governance interna.   L’ESG Assessment e il Report di Sostenibilità consentono di misurare e valutare le performance aziendali sia dal punto di vista ambientale, che dal punto di vista sociale. Entrambi fanno parte di una strategia volta ad accrescere il valore aziendale e a creare valore per la comunità in cui l’azienda è inserita.   Adottare delle strategie sostenibili, promuovere una cultura aziendale socialmente responsabile e innovare il modo di fare impresa rappresentano un concreto impegno verso una crescita duratura.   Scopri le soluzioni offerte da Tecno in ambito sostenibile per indagare e rendicontare le performance di sostenibilità della tua impresa.

Bilancio di Sostenibilità: cos’è e a chi è rivolto?

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Il Bilancio di Sostenibilità è uno strumento attraverso cui le aziende misurano le performance ambientali, sociali e di governance della propria attività produttiva, con il fine di comunicare agli stakeholder il proprio impegno e le concrete iniziative prese in ambito sostenibile. Si tratta di un documento che rientra tra le attività di reportistica e di rendicontazione connesse agli obiettivi ESG (rendicontazione sostenibile), i cui standard vengono dettati ed aggiornati dalla normativa internazionale di settore. Una pratica che permette alle imprese di comunicare in maniera trasparente e chiara le proprie attività e i relativi impatti in relazione ad aspetti ambientali, sociali ed economici. Redigere il Bilancio di Sostenibilità consente di avere una fotografia della situazione aziendale presente, di raccontare agli stakeholder interni ed esterni all’organizzazione cosa è stato fatto in ambito ESG, in che modo le azioni intraprese hanno contribuito al raggiungimento degli SDGs definiti dalle Nazioni Unite, e ancora di mettere nero su bianco gli obiettivi che in ambito di sostenibilità l’azienda ha scelto di perseguire per il futuro. All’interno della rendicontazione sostenibile rientrano diversi framework, ovvero modelli standard di reportistica aziendale, come ad esempio il bilancio sociale, il bilancio integrato e il bilancio sostenibile. Il Bilancio di Sostenibilità e, più in generale, la rendicontazione sostenibile sono stati oggetto di numerose iniziative normative in seno ad Organizzazioni Internazionali (come Global Reporting Initiative) ed Organi istituzionali (come la Commissione EU), con l’intento di creare un paradigma aziendale socialmente responsabile e sostenibile sul lungo periodo.  A dimostrazione dell’impegno istituzionale verso la promozione di una cultura aziendale e sociale attenta alle questioni green, da quest’anno – ed entro il 2026 –  diventa obbligatorio redigere il Bilancio di Sostenibilità per le aziende destinatarie della prescrizione. Nel prossimo paragrafo analizzeremo l’iter giuridico che ha condotto all’introduzione di questo obbligo. La normativa europea sulla rendicontazione sostenibile La rendicontazione sostenibile è stata introdotta nell’ordinamento giuridico europeo con due Direttive: La Non-Financial Reporting Directive, ovvero la Direttiva 2014/95/UE, relativa all’incremento, alla facilitazione e all’armonizzazione delle informazioni circa le pratiche aziendali sostenibili da fornire ai portatori di interesse; questa Direttiva ha introdotto l’obbligo di redigere la Dichiarazione non finanziaria per le aziende di grandi dimensioni. La Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), ovvero la Direttiva n. 2464/2022, emessa nell’ambito del Green Deal europeo, che ha esteso l’obbligo di rendicontazione sostenibile anche alle PMI e alle aziende di medie dimensioni; questa Direttiva ha rappresentato un punto di svolta nell’ambito delle politiche normative sulla promozione della sostenibilità, in quanto all’estensione dell’obbligo di rendicontazione aggiunge l’introduzione di standard specifici per settore. Come anticipato, entrambe le Direttive rientrano nel più grande progetto del Green Deal Europeo, un gruppo di iniziative politiche e legislative promosse dalla Commissione europea che hanno come scopo il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050. A gennaio 2024, con l’entrata in vigore della Direttiva CSRD, aumenta il numero di soggetti obbligati alla rendicontazione di sostenibilità e al Bilancio di Sostenibilità. Nello specifico: Società quotate in borsa, ed enti di grandi dimensioni ( più di 500 dipendenti) con un totale attivo di 20 milioni di euro; S.r.l. ed Enti di interesse pubblico che presentano gli stessi requisiti dimensionali e patrimoniali sopra menzionati; Dal 1° gennaio 2025 grandi imprese che abbiano un totale attivo di venti milioni di euro, oppure un numero di 250 dipendenti medi annui; Dal 1° gennaio 2026 PMI e altre medie imprese quotate in borsa. Al momento del recepimento della Direttiva nell’ordinamento nazionale, il legislatore italiano potrebbe estendere ulteriormente il numero di aziende tenute all’obbligo di rendicontazione sostenibile anche ad altri tipi di organizzazioni economiche. Rendicontazione di sostenibilità: i fattori ESG e gli standard ESRS Il Bilancio di Sostenibilità rende efficiente la comunicazione delle informazioni sulle pratiche aziendali dell’impresa, attraverso la trasparenza, la chiarezza e il rispetto degli standard sulla base dei quali è redatto. Lo scopo del Bilancio di Sostenibilità non riguarda soltanto la comunicazione dell’impegno in ambito sostenibile perseguito dall’azienda, ma anche l’applicazione pratica dei fattori ESG nelle politiche di organizzazione interna e di investimento. I fattori ESG, acronimo di Environmental, Sustainability e Governance, guidano le operazioni aziendali e il loro impatto esterno, sia da un punto di vista ambientale che sociale. Si tratta di fattori che orientano le scelte di investimento di un’azienda e dei suoi stakeholder, perché misurano e quantificano il livello di responsabilità sociale ed ambientale che un’organizzazione decide di assumersi. Ogni Bilancio di Sostenibilità è redatto in base a degli standard, il cui scopo è quello di uniformare ed armonizzare i sistemi di reporting sostenibile adottati dalle imprese a livello nazionale ed internazionale (un esempio è rappresentato dalle linee-guida emesse dal Global Reporting Initiative). La Direttiva CSRD ha introdotto, rispetto alla normativa precedente, degli standard specifici per settore industriale: gli European Sustainability Reporting Standards (ESRS), un insieme di 12 standard di sostenibilità di cui una parte dedicata al settore industriale di riferimento. I primi due standard sono di natura generale, mentre i successivi riguardano fattori quali: cambiamento climatico, risorse marine e biodiversità, utilizzo delle risorse ed economia circolare, ruolo dei lavoratori all’interno del ciclo aziendale, e condotta d’impresa. Quest’ultima intesa sia come cultura aziendale in senso lato, che come responsabilità sociale d’impresa. Includere informazioni e prospetti specifici all’interno del Bilancio di Sostenibilità costituisce un ulteriore tassello verso la trasparenza delle informazioni, il concetto base della reportistica di sostenibilità. L’importanza del Bilancio di Sostenibilità: la doppia materialità Il Bilancio di Sostenibilità è un documento di rendicontazione che si prefigge un duplice scopo: Informare gli stakeholder, i portatori di interesse e la società dell’impegno concretamente preso dalle aziende in ambito sostenibile, attraverso la comunicazione trasparente circa l’impatto dell’attività aziendale sulla società e sull’ambiente; Ottenere una misura di quanto fattori esogeni come inquinamento, cambiamento climatico, ecc. possano impattare sull’attività aziendale svolta. Questo principio è stato definito dalla Commissione EU principio della doppia materialità e rappresenta un nuovo modo di intendere la sostenibilità aziendale, ovvero: non soltanto una politica di rispetto dell’ambiente e della società esterna, ma anche una modalità di raggiungere il progresso finanziario, economico e sociale per l’azienda. Il Bilancio di Sostenibilità con Tecno: una

Sostenibilità aziendale e fattori ESG: la guida aggiornata al 2024

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L’essenza di una strategia sostenibile esg-oriented Integrare la sostenibilità nelle operazioni aziendali, cosa vuol dire? Il futuro delle imprese: sostenibilità e investimenti ESG Perché un’azienda dovrebbe puntare sugli investimenti ESG? Chi si occupa della sostenibilità in azienda? Sostenibilità e brand reputation: dalla strategia alla comunicazione   In un contesto globale in cui le tematiche ambientali, la responsabilità sociale di aziende e individui e la gestione etica delle risorse sono diventati elementi essenziali del dibattito sulla sostenibilità, adottare un approccio che implementa e contribuisce al benessere del pianeta rappresenta una condizione imprescindibile per raggiungere il progresso.   Tra i principali attori coinvolti nel paradigma sostenibile troviamo proprio le aziende, sempre più interessate dalle richieste del mercato, dalle normative e raccomandazioni delle organizzazioni mondiali e statali focalizzate sul contrasto al cambiamento climatico e volte al raggiungimento degli obiettivi definiti per la riduzione delle emissioni al 2030 e al 2050. Vediamo insieme in che modo le imprese possono affrontare la sostenibilità e perché è importante agire in ambito ESG per la crescita aziendale.   L’essenza di una strategia sostenibile esg-oriented   La sostenibilità aziendale rappresenta un approccio strategico e responsabile alla gestione delle attività imprenditoriali, tenendo conto degli impatti economici, sociali e ambientali generati nel corso del ciclo di vita di un’azienda.   Ragionare in una prospettiva di lungo periodo, si traduce nell’adottare soluzioni sostenibili tanto con riferimento ai modelli di governance adoperati, che con riguardo ai metodi di produzione.   Il ruolo delle imprese, in ambito sostenibile, è duplice: da un lato, queste sono soggetti responsabili dell’impatto che la loro attività produttiva ha sull’ambiente e sulla società circostanti; dall’altro hanno il potenziale di diventare i principali promotori di una cultura sostenibile che guarda al futuro.   Sulla base dei principi contenuti nell’Agenda 2030 e degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, la sostenibilità aziendale può essere tradotta in strategie finalizzate all’applicazione di criteri riconducibili al paradigma ESG, acronimo che sta ad indicare i tre pilastri della sostenibilità, indispensabili per la transizione sostenibile delle aziende:   Environmental; Social; Governance.   L’adozione di un approccio sostenibile rende le aziende, gli stakeholder e tutti gli attori coinvolti un centro di creazione di valore per la società.   Integrare la sostenibilità nelle operazioni aziendali, cosa vuol dire?   Integrare la sostenibilità nelle operazioni aziendali significa incorporare considerazioni economiche, sociali e ambientali nelle decisioni quotidiane e nelle pratiche di gestione di un’azienda.   Le operazioni aziendali rappresentano il terreno fertile sul quale adoperare quotidianamente strategie sostenibili che afferiscono ai fattori ESG (Environmental, Social, Governance); un terreno su cui è possibile intervenire con azioni concrete e vantaggiose:   Analisi dell’impronta ambientale, ovvero la valutazione e la misurazione dell’impatto ambientale delle operazioni aziendali. Un esempio di questa tipologia di analisi è la valutazione del carbon footprint di organizzazione, utile ad analizzare e quantificare le emissioni di CO2 prodotte dall’impresa e connesse agli Scope 1, 2 e 3; Definizione chiara degli obiettivi di sostenibilità, effettuata in linea agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile presenti nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, e alle linee guida sulle best practices sostenibili definite a livello internazionale; Adozione di politiche di investimento volte al miglioramento dell’efficienza energetica, come l’adozione di fonti di energia rinnovabile o l’implementazione di pratiche di gestione energetica; Creazione di una catena di approvvigionamento sostenibile, che si traduce nella scelta di collaborare con fornitori che rispettino elevati standard di sostenibilità, in modo da valutare e monitorare l’impatto ambientale lungo l’intera catena di fornitura; Integrazione della responsabilità sociale d’impresa (CSR – Corporate Social Responsibility), ai fini del coinvolgimento della comunità locale e la promozione di una cultura aziendale etica; Comunicazione trasparente e chiara delle politiche di sostenibilità adottate, attraverso la redazione di documenti volti alla rendicontazione delle proprie performance ESG (Report di Sostenibilità, report CFO, ecc.), per coinvolgere eventuali stakeholder ed incrementare, allo stesso tempo, l’affidabilità del brand per i consumatori; Coinvolgimento dei dipendenti in tutte le iniziative di sostenibilità, attraverso programmi di formazione ed eventi interni finalizzati alla valorizzazione dei lavoratori e alla crescita comune; Investimenti reali in progetti di ricerca e sviluppo nell’ambito dell’innovazione sostenibile.   Il futuro delle imprese: sostenibilità e investimenti ESG   Nel panorama aziendale sempre più competitivo del 2024, l’attenzione verso la sostenibilità aziendale non è più una scelta, ma una necessità imperativa per le imprese che aspirano al successo a lungo termine.   Investire in sostenibilità rappresenta una mossa strategica, in quanto consente di acquisire una visione di lungo periodo dell’attività aziendale e del suo impatto concreto.   In questo contesto si inseriscono gli investimenti basati sui criteri ambientali, sociali e di governance (criteri ESG), diventati popolari a seguito della volontà di un numero sempre maggiore di investitori di integrare la sostenibilità nelle decisioni finanziarie.   L’acronimo “ESG” sta ad indicare tre fattori:   Ambientale (Environmental): riguarda le pratiche legate all’ambiente, come le emissioni di gas serra, l’uso sostenibile delle risorse, il cambiamento climatico e la gestione dei rifiuti; Sociale (Social): coinvolge aspetti sociali come la responsabilità sociale d’impresa, le pratiche di gestione dei dipendenti, la diversità e l’inclusione, la salute e la sicurezza dei lavoratori, nonché le relazioni con le comunità locali; Governance (G): riguarda la struttura di governance aziendale, l’etica aziendale, la trasparenza, l’indipendenza del consiglio di amministrazione e la gestione dei conflitti di interesse. Gli investimenti ESG riguardano tutte le politiche di investimento inerenti ai tre fattori sopra menzionati. Perché un’azienda dovrebbe puntare sugli investimenti ESG?   I vantaggi connessi agli investimenti ESG sono numerosi, al punto da rendere questa tipologia di strumenti particolarmente attrattiva per gli investitori.  Nello specifico, tra i vantaggi inerenti connessi agli investimenti ESG ci sono:   La riduzione dei rischi. Gli investimenti ESG contribuiscono a identificare e mitigare i rischi associati a questioni ambientali, sociali e di governance che potrebbero influenzare negativamente le prestazioni finanziarie delle aziende.    Il rendimento finanziario a lungo termine. Le aziende che adottano pratiche ESG solide sono maggiormente resilienti e gestiscono meglio i cambiamenti di mercato, favorendo un rendimento finanziario a lungo termine più sostenibile.   La stabilità.  Una buona ed efficiente governance aziendale rappresenta, per gli

Il piano Transizione 5.0 e il supporto alle imprese sostenibili

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Il piano Transizione 5.0, previsto dal decreto legge PNRR, è stato finalmente introdotto con l’approvazione del Consiglio dei Ministri il 26 febbraio 2024 e ufficializzato il 2 marzo con la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 52.   Oltre alla necessaria conferma parlamentare entro il periodo standard di 60 giorni, si attendono due ulteriori decreti attuativi per garantire la piena attuazione, con particolare riferimento al primo decreto che dovrebbe essere emesso entro 30 giorni, ossia entro il primo aprile.   Il piano di Transizione 5.0 rappresenta una fase evolutiva cruciale, già iniziata con il piano Transizione 4.0 finanziato nell’ambito della Missione 1 – Componente 2 “Digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo” del PNRR; un momento caratterizzato dalla convergenza di innovazioni tecnologiche, cambiamenti ambientali e trasformazioni sociali.   In questo articolo approfondiremo l’evoluzione e le novità introdotte dal piano di Transizione 5.0.      Decreto transizione 5.0: le novità del piano per la transizione green e digitale   Prima dello sviluppo del piano più recente, erano già previste delle forme di sostegno nazionale alle imprese contenute nel Piano Nazionale Industria 4.0, la base giuridica delle agevolazioni contenute nel piano di Transizione 5.0.   Il Piano Nazionale Industria 4.0 (o Transizione 4.0) è stato finanziato con l’obiettivo di sostenere la trasformazione digitale delle imprese incentivando gli investimenti privati in beni e attività a sostegno della digitalizzazione attraverso il riconoscimento di un credito d’imposta per l’acquisto di:   acquisto di beni materiali; acquisto di beni immateriali 4.0 (es. software avanzati); acquisto di beni immateriali tradizionali (es. software di base); attività di formazione 4.0.   Nel piano di Transizione 5.0 alle aziende verrà concesso un credito d’imposta automatico, senza alcuna valutazione preliminare, senza discriminazioni legate alle dimensioni dell’impresa, al settore di attività o alla sua localizzazione.   Nello specifico, Il Piano prevede un ammontare di risorse pari a 6,3 miliardi di euro destinate alle imprese italiane impegnate in progetti di transizione digitale e sostenibile. Un supporto considerevole che si aggiunge ai 6,4 miliardi previsti dalla legge di bilancio per un totale di 13 miliardi di euro da distribuire nel biennio 2024-2025.   Transizione 5.0: gli investimenti ammessi e le  agevolazioni concesse Le agevolazioni del piano di Transizione 5.0 sono riconosciute alle imprese italiane che affrontano i seguenti investimenti:   acquisto di beni materiali e immateriali essenziali per l’attività aziendale, inclusi negli allegati A e B della legge 11 dicembre 2016, n. 232, purché siano integrati nel sistema aziendale e portino globalmente a una riduzione dei consumi energetici: del 3% per la struttura produttiva oggetto del progetto di innovazione o, in alternativa, del 5% per i processi interessati dall’investimento; investimenti in nuovi beni materiali volti alla produzione autonoma di energia tramite fonti rinnovabili destinate al consumo interno, ad eccezione delle biomasse, inclusi i dispositivi per l’accumulo dell’energia generata; spese per la formazione del personale, fornita da entità esterne, fino al 10% dell’investimento effettuato e fino a un massimo di 300.000,00 euro. La diminuzione dei consumi energetici deve essere certificata tramite una valutazione (ex ante) che identifichi i risparmi energetici ottenibili attraverso gli investimenti previsti e una valutazione (ex post) che dimostri l’effettiva realizzazione degli investimenti in linea con la valutazione iniziale. Le certificazioni devono essere rilasciate da Organismi di valutazione indipendenti, come gli Esperti in Gestione dell’Energia (EGE) e le Energy Service Company (ESCo), purché certificate da organismi accreditati. Per quanto riguarda i pannelli solari (per la produzione autonoma di energia di cui sopra), sono accettati solo quelli fabbricati in Europa secondo quanto specificato nell’articolo 12, comma 1, lettere a, b e c del Decreto Legge n. 181. A fronte di tali investimenti le imprese possono richiedere l’agevolazione prevista dal piano di Transizione 5.0, ossia un credito d’imposta che varia in base all’importo dell’investimento e alla percentuale di risparmio energetico ottenuta. Le aliquote sono le seguenti:   35% del costo per gli investimenti fino a 2,5 milioni di euro; 15% del costo per gli investimenti oltre i 2,5 milioni di euro e fino a 10 milioni di euro; 5% del costo per gli investimenti oltre i 10 milioni di euro, fino al massimo di 50 milioni di euro di costi ammissibili per anno per impresa beneficiaria. Queste aliquote aumentano rispettivamente al: 40%, 20% e 10% se vi è una riduzione dei consumi energetici della struttura produttiva superiore al 6% o una riduzione dei consumi energetici dei processi superiore al 10%; 45%, 25% e 15% se vi è una riduzione dei consumi energetici della struttura produttiva superiore al 10% o una riduzione dei consumi energetici dei processi interessati dall’investimento superiore al 15%. Il credito d’imposta può essere utilizzato solo in compensazione, attraverso il modello F24, da avviare entro il 31 dicembre 2025 e, comunque, dal quinto giorno successivo alla comunicazione del provvedimento di concessione. Migliora le performance energetiche della tua azienda e riduci i consumi   Il piano Transizione 5.0 rappresenta un’occasione per le imprese che intendono avviare un percorso finalizzato alla transizione green e digitale. L’opportunità per definire una strategia che permetta di avere una maggiore consapevolezza circa i propri consumi energetici, le potenzialità di ottimizzazione (in ottica di costi e di risparmio di risorse) e l’impatto ambientale imputabile alla propria organizzazione.   Approfitta delle competenze dei nostri esperti EGE, delle soluzioni per l’efficientamento energetico e il monitoraggio dei dati industriali per entrare in possesso del credito d’imposta transizione 5.0.   Lavoriamo insieme alla transizione green e digitale della tua impresa. 

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