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Decreto Clima 2019: tra climate change e piano di mobilità sostenibile

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L’analisi dei 18 articoli inseriti nel Decreto Clima 2019.   Il Decreto Clima è stato approvato! Vediamo insieme quali sono i fondi e i programmi messi a disposizione dei comuni, dei cittadini e delle aziende a beneficio dell’ambiente per il prossimo triennio.   Decreto Clima: approvato il primo tassello del green new deal italiano   Il primo tassello del green new deal italiano è stato approvato. Si tratta del cosiddetto Decreto Clima, ossia il D. L. 111/2019 entrato in vigore il 15 ottobre 2019. Una norma che, nella proposta iniziale, comprendeva 9 articoli, ampliati e portati a 18 in seguito all’analisi del Senato. Nel rispetto della Direttiva 2008/50/CE per la qualità dell’aria, il Decreto Clima prevede la messa a disposizione di ben 450 milioni di euro da suddividere per tre anni a partire dal 2020. Con il decreto in questione, lo Stato vuole raggiungere precisi obiettivi:   Limitare i comportamenti ad alto impatto ambientale Migliorare la qualità della vita Incentivare proposte green e sostenibili   Gli intenti del Decreto Clima abbracciano gli scopi 2030 fissati dal PNIEC – Piano Nazionale Integrato Energia e Clima – in materia di efficienza energetica, fonti rinnovabili e riduzione delle emissioni di gas serra. Vediamo nel dettaglio quali sono i fondi promossi.   Decreto Clima e Piano Mobilità   Il piano mobilità messo a punto con il Decreto Clima punta al raggiungimento di tutti gli obiettivi fissati dallo Stato con misure studiate ad hoc.   Prima tra tutte l’imposizione alle amministrazioni delle città metropolitane di attuare e implementare un piano di mobilità sostenibile entro il 31 dicembre 2021. La mancata adozione di questa misura comporterà l’automatica esclusione delle stesse dalle risorse stanziate dallo Stato in favore di strategie e progetti di mobilità sostenibile. Il fondo finanziario messo a disposizione per tale intento è pari a 20 milioni per il 2020 e ulteriori 20 per il 2021.   Parte di questo fondo è indirizzato alla realizzazione, al miglioramento e al prolungamento di corsie preferenziali per il trasporto pubblico locale. Saranno ammessi, a tal proposito, i progetti presentati dai comuni con un numero pari o maggiore a 100 mila abitanti interessati dalla procedura di infrazione UE per lo smog.   Altra importante somma è stata stanziata in favore del trasporto scolastico. I comuni con più di 50.000 abitanti potranno accedere al fondo di 20 mila euro messo a disposizione per progetti di sperimentazione che prevedono l’acquisto di mezzi ibridi ed elettrici adibiti al trasporto dei bambini da e verso gli istituti scolastici. I veicoli consentiti dovranno essere di categoria non inferiore alla euro 6 e immatricolati dopo il 31 agosto 2019.   Viene riconosciuto ai cittadini, invece, e non ai comuni, il fondo previsto dal “Programma sperimentale buono mobilità”. Si tratta di 255 milioni resi per la eco-rottamazione di veicoli inquinanti divisi in: 5 milioni per il 2019 e 125 milioni sia per il 2020 sia per il 2021. Contrariamente a quanto esposto nella bozza iniziale del Decreto Clima, le misure per l’eco-rottamazione riguardano sia i mezzi euro 3 che euro 4.   A tutto questo si aggiunge il buono mobilità destinato a cittadini residenti nelle aree territoriali interessati dalla procedura di infrazione UE per lo smog.   Il contrasto del Climate change   L’Italia gioca un ruolo fondamentale nella partita contro il climate change, ecco perché lo Stato sceglie di fare dei passi in avanti con altre salienti misure del Decreto Clima.   Sarà fondamentale in questo ambito il ruolo del Cipe – Commissione Interministeriale per il contrasto dei cambiamenti climatici – che, presieduta dal premier Conte potrà sostenere la propria attività con una piattaforma creata ad hoc che prevede la partecipazione di enti come: Istat, Ispra, Cnr ed Enea.   I compiti del Cipe saranno: Armonizzare la programmazione economica aziendale nazionale con le misure proposte dal programma strategico Contrastare i cambiamenti climatici Adottare misure di promozione ambientale   Il Governo avrà il compito, poi, di promulgare una legge clima ogni due anni per il miglioramento della qualità dell’aria.   Tra i fondi messi a disposizione per il contrasto al climate change, rientrano anche le somme fornite ai comuni per finanziare programmi di riforestazione delle città urbane e attività di bonifica delle acque territoriali. I 27 milioni previsti, invece, dal “Programma sperimentale mangia plastica” serviranno a finanziare l’installazione di eco-compattatori per la riduzione dei rifiuti plastici.   Come abbiamo evidenziato sopra, tra gli obiettivi del Decreto Clima c’è quello di limitare i comportamenti ad alto impatto ambientale. Ecco perché tra i 18 articoli della norma in analisi risultano particolarmente importanti le misure proposte per la diffusione di una nuova cultura ambientale. Parliamo del fondo ‘caschi verdi per l’ambiente’ pari a 2 milioni di euro per anno, dal 2020 al 2022, destinati a finanziare iniziative di collaborazione internazionale volte alla tutela, alla salvaguardia e alla conoscenza delle aree territoriali ritenute protette o di particolare pregio naturalistico.   Viene poi riconosciuta una somma massima pari a 5.000 € ai commercianti che sceglieranno di adibire, nei propri negozi, delle aree alla vendita di prodotti alimentari o detergenti alla spina o sfusi; i cosiddetti ‘green corner’.   Infine ulteriori 2 milioni di euro saranno indirizzati al fondo #iosonoambiente per la promozione di campagne di sensibilizzazione ambientale nelle scuole. Saranno ammesse al finanziamento: le attività di volontariato degli studenti, i percorsi di conoscenza ambientale e ulteriori progetti e/o iniziative previste nel triennio 2020-2022.   Riduzione gas serra e SAD: cosa prevede il Decreto Clima a riguardo?   Quella contro i SAD – sussidi ambientalmente dannosi – è una lotta che va avanti da diversi anni. Numerose ricerche sostengono coloro che ne richiedono l’eliminazione per il bene dell’ambiente e con il Decreto Clima lo Stato italiano sceglie di fare la propria parte in virtù della loro riduzione annuale fissata al 10%.   La limitazione graduale dei SAD consentirebbe allo Stato di riscuotere circa 19 milioni di euro da poter reinvestire in programmi a sostegno della transizione ecologica delle imprese.   Da più di 20 anni Tecno si pone al fianco delle

VIA, VAS e EMAS: sviluppo sostenibile e riduzione dell’impatto ambientale

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L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per l’uomo, il pianeta, la prosperità, sottoscritto nel 2015 dai Governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. Nell’Agenda sono presenti 17 obiettivi comuni per lo sviluppo sostenibile – Sustainable Development Goals – per un totale di 169 traguardi, tra cui una crescita equa e ambientalmente sostenibile, con un contributo importante da parte delle imprese per favorire l’accesso ad un’energia più pulita, costruire nuove infrastrutture, favorire lo sviluppo dell’economia circolare, ridurre le disuguaglianze. Il concetto di sostenibilità si basa sull’idea che l’impresa debba farsi carico dell’impatto ambientale, sociale ed economico generato dalla propria attività.   Come contribuire allo sviluppo sostenibile   Per sviluppo sostenibile si intende la capacità di soddisfare le necessità della generazione attuale, senza compromettere quelle delle generazioni future. Ciò è possibile con una corretta gestione delle risorse naturali e la conservazione dell’equilibrio dei diversi ecosistemi.   Perseguire la sostenibilità ambientale è l’obiettivo della VAS e della VIA, valutazioni degli effetti che piani e programmi possono avere sull’ambiente naturale. Entrambe comportano l’individuazione e la stima degli impatti diretti e indiretti che un progetto può avere su uomo, suolo, flora, fauna, clima, beni materiali e patrimonio culturale e che interazione si genera tra questi.   La Comunità Europea ha proposto uno strumento volontario a cui possono aderire le organizzazioni – aziende, enti pubblici, etc. – per valutare e migliorare le proprie prestazioni ambientali: EMAS. Eco-Management and Audit Scheme rientra, infatti, tra gli strumenti volontari attivati nell’ambito del V Programma d’azione europeo a favore dell’ambiente, ripreso poi nel VI e nel VII Programma. Lo scopo prioritario dell’Emas è contribuire ad uno sviluppo economico sostenibile all’interno dell’Ue, evidenziando il ruolo delle organizzazioni e delle imprese pubbliche e private con sede in Ue ed extra Ue.   Quali sono i vantaggi della certificazione Emas?   La certificazione Emas si colloca nel quadro della sostenibilità per produzione, consumo e politica industriale. I vantaggi per l’impresa sono davvero interessanti:   crescita dell’efficienza all’interno dell’organizzazione riduzione dei costi, grazie alla razionalizzazione delle risorse maggiore fiducia tra organismi preposti al controllo ambientale e coloro che rilasciano le autorizzazioni maggiori garanzie in termini di rispetto delle normative ambientali miglioramento delle prestazioni ambientali tramite l’utilizzo di nuove conoscenze tecnico-scientifiche riduzione del carico burocratico, riservato alle organizzazioni aderenti ad Emas maggiori garanzie per l’accesso a finanziamenti dedicati alle piccole imprese incremento del valore patrimoniale grazie alla corretta gestione ambientale   Gli obiettivi e i punti chiave dell’EMAS   Il primo Regolamento Emas n. 1836 è stato emanato nel 1993, con ultima revisione nel 2009 – Regolamento n. 1221. Il Regolamento prevede:   l’esistenza di un SGA – Sistema di Gestione Ambientale – ISO 14001, finalizzato a promuovere pratiche che permettano di raggiungere obiettivi virtuosi in tema di protezione ambientale redazione di un’analisi ambientale effettuazione di audit interni redazione della DA – Dichiarazione Ambientale – e la sua convalida registrazione ufficiale dell’Organismo Competente per poter ottenere il logo Emas   Cos’è la VAS?   La Valutazione Ambientale Strategica è introdotta a livello comunitario dalla Direttiva Europea 2001/42/CE: un processo che valuta gli effetti dello sviluppo di piani e programmi territoriali, adottato in fase di pianificazione. Nello specifico analizza gli impatti sull’ambiente e sul patrimonio culturale che possono derivare dalla messa in opera di piani e progetti, valutando l’ambiente come sistema integrato.   La VAS prevede la redazione dei Rapporti Ambientali, formulati da un tecnico consulente, specializzato in valutazione ambientale strategica. Si applica a piani e programmi che sono elaborati per la valutazione e la gestione della qualità dell’aria e per i seguenti settori: energetico, agricolo, forestale, pesca, industriale, trasporti, gestione dei rifiuti e delle acque, telecomunicazioni, turismo, pianificazione territoriale.   Chi sono i soggetti coinvolti?   Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare; Ministero per i beni e le attività culturali; Soggetti competenti in materia ambientale, tra cui Pubbliche Amministrazioni ed enti pubblici con specifiche competenze in materia; Altri Ministeri, Autorità di bacino – nazionali, interregionali e regionali – , Enti Parco ed altri soggetti gestori di aree naturali protette, Soprintendenze per i Beni Architettonici e il Paesaggio e Soprintendenze Archeologiche territorialmente competenti; Stati confinanti che richiedono di essere coinvolti nel progetto o sul cui territorio si possono verificare impatti rilevanti; Regioni e Province, il cui territorio sia anche solo parzialmente coinvolto; Pubblico: chiunque abbia interesse può visionare il piano o il programma e il relativo rapporto ambientale, sul sito web apposito.   VIA: cos’è e come è strutturata   La VIA – Valutazione d’Impatto Ambientale – è nata negli USA nel 1969 ed è stata introdotta in Europa con la Direttiva Comunitaria 85/337/CEE. Lo scopo della VIA è prevenire gli impatti negativi legati alla realizzazione dei progetti: individuare, descrivere e valutare gli effetti sull’ambiente, sulla salute ed il benessere dell’uomo. I progetti destinati alla difesa nazionale o alla salvaguardia delle persone o per mettere in sicurezza gli immobili da pericolo imminente o calamità, sono esclusi dalla VIA.   Come è strutturata?   Prevenzione: analisi degli impatti di opere/progetti per migliorare la qualità dell’ambiente e della vita; Integrazione: analisi delle componenti ambientali e delle interazioni tra i diversi effetti; Confronto: dialogo tra chi progetta e chi autorizza il progetto; Partecipazione: apertura del processo di valutazione per una maggiore trasparenza nei confronti dei cittadini.   Non sprecare energia, rendi competitiva la tua impresa   Il consumo consapevole dell’energia utilizzata nelle attività di produzione è in grado di ridurre l’impatto ambientale e limitare le emissioni di CO2 che finiscono in atmosfera. I cambiamenti climatici rappresentano una priorità a livello globale, con una crescente rilevanza per istituzioni nazionali e internazionali.   Le certificazioni ambientali contribuiscono allo sviluppo sostenibile: scopri i nostri servizi, rendi sostenibile e competitiva la tua impresa.

Economia circolare ed End of Waste. Il recupero dei rifiuti: da spreco a risorsa

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“Un’economia progettata per auto-rigenerarsi, sfruttando al massimo le risorse naturali, in cui i materiali di origine biologica sono destinati ad essere reintegrati nella biosfera e quelli tecnici progettati per essere rivalorizzati senza entrarvici”.   Questa è la definizione data dalla Ellen McArthur Foundation, istituzione leader nel mondo per la promozione e lo sviluppo dell’economia circolare. Un modello economico basato sulla massimizzazione dei profitti tramite la riduzione dei costi di produzione.   Quali sono i principi base dell’economia circolare?   Secondo la Ellen McArthur Foundation i principi base dell’economia circolare sono 5:   1. Eco progettazione: progettare i prodotti pensando già in fase di produzione al loro impiego a fine vita; 2. Modularità e versatilità: pensare di adattare l’uso del prodotto al cambiamento delle condizioni esterne; 3. Energie rinnovabili: affidarsi ad energie prodotte da fonti rinnovabili abbandonando le fonti fossili; 4. Approccio ecosistemico: prestare attenzione all’intero sistema, considerando le relazioni causa-effetto tra le diverse componenti in esso presenti; 5: Recupero dei materiali: favorire la sostituzione delle materie prime vergini con materie seconde provenienti dalle filiere di recupero, il cui compito è conservarne le qualità.   Dall’economia lineare all’economia circolare   L’economia lineare è un’economia industriale basata sull’estrazione di materie prime sempre nuove, sul consumo di massa e produzione di scarto a fine vita del prodotto. “Prendi-produci-consuma-butta” è il modello economico che ha causato e ancora causa effetti ambientali dannosi, come la contaminazione dei mari e della Terra, il problema dell’eccessiva produzione di rifiuti e delle emissioni di gas serra responsabili del climate change.   La transizione dall’economia lineare all’economia circolare è sostenuta da un numero sempre maggiore di politiche e iniziative, anche se molto spesso risulta difficile da attuare a causa di barriere sociali, economiche e tecnologiche. Spesso alle imprese mancano consapevolezza e conoscenze per mettere in pratica le soluzioni di economia circolare, altre volte non risultano sufficienti gli investimenti nel miglioramento dell’efficienza o sono considerati rischiosi e complessi.   Win-Win imprese e ambiente: i vantaggi dell’economia circolare   Trasformare il rifiuto in risorsa permette affermazione e sviluppo di imprese ed economie in crescita senza dover attingere a risorse naturali sempre più limitate. È necessaria la consapevolezza che ogni risorsa ha un valore potenziale a prescindere dal suo impiego attuale, non solo per istituzioni e imprese: il ruolo della popolazione è fondamentale!   Come contribuire all’economia circolare?   utilizzando energie rinnovabili; producendo con materie prime seconde, cioè quelle che provengono dal riciclo; creando prodotti in grado di resistere a lungo e che permettano di recuperare più materiale possibile; condividendo i prodotti così che si produca meno ma con più disponibilità per tutti. Un esempio è il car sharing, il cui utilizzo riduce il numero di veicoli in strada, quindi il traffico e le emissioni CO2; riciclando e utilizzando componenti di un oggetto parzialmente funzionante; gestendo gli scarti per produrre energia e fertilizzando il suolo con il compost; promuovendo l’efficienza nell’uso delle risorse in specifici settori industriali.   Sostenibilità ambientale: il ruolo dei consumatori   Cambia l’approccio dei consumatori ai prodotti e alla sostenibilità ambientale, i quali cercano informazioni sempre più dettagliate per poter scegliere e decidere più consapevolmente.   Nel pacchetto sull’economia circolare l’Unione europea ha previsto i seguenti punti:   riciclo di almeno il 55% dei rifiuti urbani entro il 2025, fino ad arrivare al 65% nel 2035; riciclo dei rifiuti di imballaggi – plastica, carta, legno, alluminio, vetro, materiali ferrosi, alluminio – entro il 2025 e il 2030, in percentuali diverse; una revisione dell’attuale sistema europeo di etichettatura energetica con la possibilità di includere informazioni sulla durabilità dei prodotti; potenziamento delle misure volontarie quali Ecolabel e il calcolo della carbon footprint.   Il nucleo del pacchetto sull’economia circolare entra in gioco quando un prodotto raggiunge la fine della sua utilità. Lo scopo è eliminare il più possibile rifiuti e sprechi, per poter diventare la società del riciclo e del riuso, allineando l’Italia ai Paesi che hanno già adottato politiche ecosostenibili.   Gestione dei rifiuti ed economia circolare La gestione dei rifiuti è uno dei temi più caldi nelle attuali politiche nazionali ed europee per quanto riguarda la sostenibilità ambientale.   I rifiuti prodotti nelle aree urbane – Municipal Solid Waste – sono in continua crescita, così come il costo per la loro gestione. Impatto ambientale, sociale, economico: tre fattori per cui è necessario attuare misure per la gestione e il trattamento dei rifiuti.   Come cambiare il modo in cui produciamo e consumiamo, così da generare meno rifiuti e trasformarli in risorse? Realizzando un’economia circolare in cui i rifiuti di uno diventano risorse per gli altri, al fine di garantire:   prevenzione sulla produzione dei rifiuti riduzione della produzione pro-capite dei rifiuti urbani incremento della raccolta differenziata riciclaggio delle materie contenimento dell’uso delle discariche e dell’incenerimento senza recupero di energia impegno delle Regioni per lo smaltimento dei rifiuti sostegno agli acquisti green.   End of Waste: la rinascita dei rifiuti   La norma che regola l’End of Waste, consentendo il riciclo dei rifiuti, è stata approvata. Le Regioni potranno rilasciare o rinnovare autorizzazioni per la cessazione della qualifica di rifiuto, come indicato nel D. Lgs. 101/2019 convertito in L. n. 128/2019. End of Waste non è il risultato finale ma il processo che permette ad un rifiuto di tornare a svolgere un ruolo utile, sotto forma di prodotto, sul mercato. L’EoW si pone l’obiettivo di ridurre i consumi delle materie prime e i quantitativi dei rifiuti da smaltire, per garantire una continua tutela e protezione ambientale.   Quando nasce il concetto di End of Waste?   Il concetto di End of Waste è stato introdotto dalla “Strategia tematica sulla prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti” adottata nel 2005 dalla Commissione europea. L’art. 6 della Direttiva 2008/98/CE – Direttiva Quadro sui rifiuti – stabilisce che un rifiuto cessa di esistere nel momento in cui è sottoposto ad un’operazione di recupero, incluso il riciclo, e rispetta le seguenti condizioni:   il materiale, sostanza o oggetto, è utilizzato per scopi specifici; esiste un mercato o una domanda per tale prodotto; il materiale

Efficienza energetica e fonti rinnovabili: le interrogazioni al ministro Patuanelli sulla governance GSE

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Nomine illegittime e governance trasparente; ecco tutti i dettagli sull’interrogazione rivolta al Ministro Patuanelli.   La richiesta di chiarezza da parte degli operatori interessati agli investimenti di efficienza energetica e all’uso di fonti rinnovabili spinge Gianluca Benamati a interrogare il Ministro Patuanelli circa il GSE. Analizziamo le scelte fatte dall’ente a seguito del PNIEC 2030 e quanto accaduto circa le nomine illegittime: sarà quiete dopo la tempesta?   Governance GSE: il Ministro Patuanelli deve delle risposte   Il vice presidente della commissione delle attività produttive della Camera, Gianluca Benamati interroga il Ministro Patuanelli sulla nuova linea della governance del GSE.   I tumulti degli ultimi mesi hanno indotto Benamati a chiedere delle specifiche al Ministro dello Sviluppo Economico il quale, essendo anche vigilante dell’attività del GSE, deve dare risposte certe e trasparenti.   Focus dell’interrogazione rivolta al ministro Patuanelli sono i provvedimenti che il Governo intende adottare al fine di garantire la trasparenza e l’efficacia della governance del GSE.   La richiesta è legata sia alle vicende che hanno interessato il GSE negli ultimi mesi – e la sua nuova struttura organizzativa – sia alle agitazioni che arrivano dal settore energetico. Tramite una nota congiunta, infatti, l’ANEV, l’Associazione Nazionale Energia nel Vento e il Coordinamento Free, Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica, hanno ufficializzato la loro preoccupazione per la condizione di criticità odierna del comparto rinnovabile. Gli operatori richiedono informazioni chiare e soprattutto unitarie per realizzare nuovi investimenti e intervenire su quelli già esistenti.   Nomine illegittime nel GSE: c’era una volta una struttura societaria   GSE sta per Gestore dei Servizi Energetici, una società italiana controllata interamente dallo Stato attraverso il MEF, il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Il suo modello organizzativo, da sempre tradizionale, è caratterizzato da due sezioni: una operativa con il consiglio di amministrazione, ed un’altra di controllo con il collegio sindacale. L’attività di revisione dei conti e dei bilanci viene svolta da una società di revisione legale, mentre quella di controllo viene lasciata ad un organismo di vigilanza legato alla figura del magistrato delegato della corte dei conti.   Nel 2018, a seguito dell’ufficializzazione del PNIEC 2030, il GSE ha deciso di ampliare la sua struttura organizzativa con tre nuovi dipartimenti al fine di migliorare la sua attività a supporto del paese, in vista degli obiettivi energetici ed ambientali fissati.   Il dipartimento promozione e supporto dello sviluppo sostenibile: per la promozione e lo sviluppo di nuovi servizi utili al raggiungimento degli obiettivi 2030 e a sostegno della già esistente Divisione Incentivi; Il dipartimento affari legali, regolatori e istituzionali: per potenziare la sezione legale già attiva e garantire una maggiore attenzione all’asset normativo del settore; Il dipartimento governance amministrativa e servizi aziendali: che include la direzione amministrazione finanza e controllo, i sistemi informativi e i servizi generali.   Nuovi dipartimenti corrispondono a nuovi dirigenti le cui nomine, però, sono state oggetto di verifiche da parte della Corte dei Conti e materia di discussione anche per il Governo. Alcune nomine, infatti, sono state definite illegittime perché incompatibili sotto diversi aspetti. In particolare la nomina di Daniele Novelli alla Divisione Incentivi, dichiarata illegittima perché l’ingegnere è stato, per ben otto anni, un funzionario dell’RSE S. p. A. (Ricerca sul Sistema Energetico), società dipendente dal GSE. Il suo ruolo nella segreteria tecnica del ministero dello sviluppo alla direzione generale per il mercato elettrico risulterebbe infatti incompatibile con il nuovo incarico.   Dopo le richieste di giustificazioni da parte del Governo e le precisazioni fornite sia dal Presidente Francesco Vetrò che dall’amministratore delegato Roberto Moneta, con un CdA indetto lo scorso 11 settembre il GSE ha annullato le nomine fatte in precedenza.   È chiaro che per gli operatori e gli imprenditori interessati alle fonti rinnovabili e alle operazioni di efficientamento energetico diventa essenziale essere aggiornati sulle politiche energetiche nazionali attive e sulla conformità del GSE. Ecco perché è interesse e dovere del Governo esigere chiarezza dai soggetti interessati.   Tra politiche energetiche nazionali e attività di supporto a beneficio delle aziende   A seguito della pubblicazione del PNIEC 2030 i vertici del GSE hanno sentito l’esigenza di adeguare la propria struttura a beneficio di un settore che deve essere allineato alle direttive europee e promosso nella maniera più efficace possibile.   I piani nazionali redatti da ogni paese membro sono frutto delle disposizioni ricevute dall’UE, i quali condividono lo scopo di conseguire la transizione energetica europea e di coniugare:   gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi nel 2015 i fini fissati dall’agenzia ONU per il 2030 l’esigenza di creare un solo mercato energetico europeo tale da rendere l’Europa leader mondiale nel comparto delle rinnovabili   Con il PNIEC – Piano Nazionale Integrato Energia e Clima – l’Italia adotta precise misure per intervenire nelle 5 dimensioni indicate dalla commissione: decarbonizzazione e fonti rinnovabili, efficienza energetica, sicurezza energetica, mercato interno e ricerca e innovazione. Le attività previste dal Piano Nazionale mirano a conseguire precisi risultati:   Abbandono del carbone per la produzione di energia elettrica, maggiore spazio alle fonti energetiche rinnovabili e sostenibili e conseguente riduzione delle emissioni di CO2 entro il 2030 nei settori non ETS (Enti del Terzo Settore); Riduzione del fabbisogno di energia primaria europeo del 32,5% rispetto alle proiezioni 2007 UE e riduzione del consumo di energia finale allo 0,8% dei consumi medi annui registrati nel triennio 2016-2018; Miglioramento del sistema di approvvigionamento dell’energia attraverso le fonti rinnovabili e l’efficienza energetica; Maggiore flessibilità per il sistema elettrico ampliando le risorse con soluzioni utili anche ad equilibrare la domanda con l’offerta; Sviluppo di soluzioni per la transizione energetica e contribuire in virtù dell’uso di tecnologie, sistemi e modelli organizzativi.   Governo e GSE hanno il dovere di agire con chiarezza e trasparenza fornendo informazioni e strumenti utili ai soggetti privati e aziendali interessati all’efficienza energetica e all’implementazione di altre fonti energetiche, sostenibili o rinnovabili.   Continua a seguirci per conoscere tutti i prossimi aggiornamenti di settore.

Diagnosi energetica trasporti: come diminuire costi ed emissioni CO2

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Il settore trasporti è responsabile di circa un terzo del consumo totale di energia finale, con trasporto merci e trasporto persone tra quelli che incidono maggiormente. Sono tante le misure di efficienza energetica applicabili al sistema dei trasporti, in grado di ridurre i consumi di energia primaria.   Sul territorio nazionale sono state organizzate varie iniziative:   Piano Nazionale per la Ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica Semplificazione delle autorizzazioni per gli impianti di distribuzione di biometano Contributi statali per l’acquisto di veicoli a basse emissioni inquinanti Guida al risparmio carburante e alle emissioni CO2 dei veicoli.   La diagnosi energetica è lo strumento più qualificato per analizzare il quadro della gestione energetica di un’attività, misurando come viene gestita e consumata l’energia, intervenendo per migliorarne l’utilizzo, quindi riducendo gli sprechi.   Perché il trasporto incide così tanto su consumi energetici e emissioni CO2?   Il trasporto è il settore al centro dei dibattiti europei sull’energia e lo sviluppo sostenibile. L’obiettivo che si intende raggiungere è la riduzione dei consumi e delle emissioni CO2, arrivando nel 2020 ad una quota dei consumi finali lordi di energia pari al 10% di FER – fonti di energia rinnovabili – nel settore Trasporti. Per il consumo finale complessivo bisogna distinguere tra quota consumata nei trasporti ferroviari e nei trasporti stradali.   Diagnosi energetica Trasporto Pubblico Locale: il contributo di Agens ed Enea   La diagnosi energetica nel settore del trasporto pubblico locale consente maggiore efficienza, migliore competitività tra le aziende, riduzione del danno ambientale e miglioramento nella mobilità, nei servizi al cittadino e qualità della vita nel centro urbano.   Agens – Agenzia Confederale dei Trasporti e Servizi – ed Enea hanno collaborato e stilato delle linee guida che consentono di ottenere dati di consumo misurabili e confrontabili tra siti produttivi e aziende.   Lo scopo del documento è stimolare gli operatori del settore TPL – Trasporto Pubblico Locale – a migliorare il proprio sistema di monitoraggio per far emergere le opportunità di efficientamento energetico in cui investire e sensibilizzare le aziende sull’importanza della diagnosi energetica.   Meno CO2 più efficienza energetica: gli interventi da attuare   Per ottenere maggiore efficienza energetica nel settore trasporti è necessario intervenire su alcuni aspetti:   Modalità di trasporto: scegliere ed incoraggiare l’utilizzo di veicoli più efficienti e meno inquinanti, anche combinando le varie tipologie di trasporto – trasporto su gomma, nautico, ferroviario, aereo; Migliore gestione dei percorsi: ottimizzare i percorsi, grazie alle tecnologie da integrare nei veicoli, così da evitare tragitti più lunghi, con conseguente maggiore consumo di carburante ed emissioni CO2; Utilizzo di veicoli efficienti: porre particolare attenzione ai componenti principali dei veicoli – motori, pneumatici, telai; Uso di combustibili differenti: l’utilizzo di miscele di carburanti differenti – ad esempio gasolio e metano – aumenterebbe l’efficienza termodinamica del motore fino al 30% e ridurrebbe i consumi del 25%; Conducenti informati/consapevoli: informare i conducenti e i dirigenti dell’azienda in merito ai problemi derivanti da una guida non ottimale. Lo stile di guida infatti, incide notevolmente sia sullo stato dei mezzi sia sul consumo di carburante.   Diagnosi energetica trasporti: come rilevare inefficienze in azienda   Il Ministero dei Trasporti incentiva l’utilizzo della mobilità elettrica, per accrescere l’efficientamento energetico, attraverso lo sviluppo eco-sostenibile dei trasporti: filobus, bici elettriche, auto elettriche; inoltre, è attivo in progetti quali quello nazionale di Car Sharing e la realizzazione della bici elettrica Green Wheel.   La diagnosi energetica trasporti rappresenta un obbligo e un’analisi che individua fattori, settori, attività inefficienti, tenendo conto delle caratteristiche dei mezzi, del loro stato di manutenzione e dello stile di guida dei conducenti. È necessario esaminare i consumi complessivi annui di tutti i vettori energetici utilizzati per le attività di trasporto, i relativi valori di produzione, le caratteristiche dei fattori di produzione e dell’organizzazione del servizio.   Secondo la norma UNI CEI EN 16247-4, gli aspetti da prendere in considerazione all’interno della struttura energetica delle attività di trasporto – tenendo distinti funzioni di trasporto e reti di trasporto – sono:   pianificazione e logistica caratteristiche dei veicoli fattori ambientali che influenzano i consumi   I 4 livelli della struttura energetica trasporti   Nella struttura energetica dei trasporti vi sono 4 livelli:   Funzione di Trasporto: trasporto merci conto terzi, trasporto passeggeri conto terzi, raccolta di rifiuti urbani, distribuzione pacchi postali; Rete di Trasporto: struttura attraverso cui si realizza una funzione di trasporto, quindi trasporto pubblico urbano su gomma, rete metropolitana, rete autobus, servizi ferroviari ad Alta Velocità sul territorio nazionale, servizi aerei di linea fra gli aeroporti nazionali; Linea di Trasporto: collegamento tra due punti, con o senza fermate, con frequenza regolare o meno; Fattore di Produzione: veicoli e loro componenti, dispositivi ausiliari e conducenti.   Diagnosi energetica trasporti: le aree in cui intervenire   La diagnosi energetica trasporti va effettuata sia in attività per conto proprio sia per conto terzi.  Si analizzano:   composizione della flotta: tipologia, dimensione, alimentazione del veicolo, classe di omologazione; stato di manutenzione dei veicoli; livelli medi di load factor; livelli di competenza degli addetti in merito all’uso razionale dell’energia.   La diagnosi energetica serve a determinare il livello di efficienza di tre fattori interni:   organizzazione del trasporto; mezzi di trasporto e componenti ausiliari – pneumatici, impianti di condizionamento; comportamenti dei conducenti alla guida.   La diagnosi energetica con Tecno   La diagnosi energetica è obbligatoria sia per le imprese che realizzano servizi di trasporto – Grandi Imprese o imprese energivore –  sia per quelle che realizzano in house attività di trasporto correlate al business principale dell’azienda. Entro il 5 dicembre hai l’obbligo di eseguire la diagnosi energetica, così come stabilito dal D. Lgs. 102/2014.   Migliora le performance della tua impresa, risparmia in termini energetici, ambientali ed economici, evitando sanzioni salate.   Contattaci per maggiori informazioni

Diagnosi energetica edifici storici: più risparmio per il nostro patrimonio culturale

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Gli edifici ricoprono un ruolo fondamentale nel conseguimento dell’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra, da raggiungere entro il 2050.   Dal Piano di efficienza energetica emerge che gli immobili costituiscono il 40% del consumo finale di energia dell’Unione europea, pur rappresentando il settore in cui è maggiormente possibile ottenere risparmio energetico.   Gli interventi al parco edifici nazionale sono un utile strumento per rilanciare l’economia del Paese, così come il patrimonio culturale rappresenta una risorsa fondamentale per lo sviluppo sociale ed economico.   Pubblica Amministrazione e riqualificazione energetica   In Italia sono tante le Pubbliche Amministrazioni che hanno i loro uffici in edifici storici. Risulta, infatti, difficile riqualificare energeticamente gli immobili di proprietà pubblica, perché la normativa che disciplina l’efficienza energetica deve fondersi con quella della tutela dei beni culturali.   L’art.1 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio assegna alla Repubblica il compito di tutelare e valorizzare il patrimonio culturale. I beni culturali appartengono allo Stato, alle Regioni, agli enti pubblici territoriali; ciò vuol dire che gli interventi su questi beni devono essere autorizzati dalla Soprintendenza.   Fare di più con meno: migliorare l’efficienza energetica negli edifici storici   Efficienza energetica vuol dire fare di più con meno: adottare dei sistemi che consentono di ottenere uno stesso risultato, in termini di rendimento e servizi, utilizzando meno energia.   Quando si tratta di edifici storici bisogna fare riferimento alla sostenibilità dell’intervento: non far prevalere la tecnologia sul valore dell’immobile, riducendo gli sprechi di energia, senza alterare l’edificio.   Efficienza energetica come tutela e conservazione del patrimonio storico   La Direttiva 2012/27/CE impone agli Enti Pubblici una riqualificazione energetica di almeno il 3% del patrimonio edilizio dello Stato.   Le operazioni di efficienza energetica degli edifici storici, intervenendo quindi nel contesto dei beni tutelati, si pongono nell’ambito del recupero e restauro degli edifici storici, le cui finalità sono tutela e conservazione dei beni nelle migliori condizioni possibili.   Si individuano quindi gli strumenti utili agli interventi da attuare, per i soggetti coinvolti:   Progettisti: hanno il compito di valutare la prestazione energetica dell’edificio storico nelle condizioni esistenti; individuano come agire e quali interventi attuare rispettando le caratteristiche del patrimonio culturale; Tecnici delle Soprintendenze: verificano il rispetto dei vincoli tramite strumenti continuamente aggiornati in materia.   Diagnosi energetica edifici storici: quali interventi attuare?   Per definire interventi di miglioramento delle prestazioni energetiche di un edificio storico è necessario conoscere lo stato di fatto del sistema edificio-impianto:   analisi dei caratteri tecnico-costruttivi valutazione della qualità ambientale analisi del sistema impiantistico esistente valutazione dell’efficienza energetica per il patrimonio culturale miglioramento dell’efficienza energetica: interventi sugli edifici e criteri di restauro, criticità, limiti e uso delle fonti rinnovabili   IEQ: come valutare la qualità ambientale negli edifici storici   La qualità ambientale si riferisce allo stato di benessere che deriva dall’interazione tra individuo e ambiente. Per migliorare la qualità ambientale si può agire sull’involucro o sull’impianto degli edifici storici. Come si ottiene questo benessere? Attraverso l’analisi dei parametri fisici dell’ambiente interno degli edifici storici.   La valutazione dell’IEQ – Indoor Environmental Quality – è rilevabile attraverso i seguenti criteri:   comfort termico comfort visivo comfort acustico qualità dell’aria Nel caso in cui nell’edificio storico siano esposte collezioni d’arte – ad esempio nei musei – bisogna considerare anche le norme di conservazione dei beni culturali, in riferimento agli aspetti termo-igrometrici e illuminotecnici.   Come salvaguardare le opere dei musei negli edifici storici   La maggior parte dei musei presenti sul territorio nazionale è allestito in edifici storici. Lo scopo dei musei è conservare ed esporre le opere in modo che siano fruibili ai visitatori, ma soprattutto custodirli nel modo più adeguato possibile, senza sottovalutare il legame tra opera e ambiente. Proprio per questo motivo è necessario esaminare le misure da adottare per il miglioramento delle condizioni degli ambienti, per la salvaguardia dei beni presenti, tra cui:   periodica manutenzione degli infissi di finestre e porte; tende o pellicole ai vetri così che filtrino la luce solare; installazione di porte a bussola per la riduzione degli scambi d’aria.   Diagnosi energetica 2019: dal passato al futuro degli edifici storici   Per tutelare il patrimonio storico esistente è necessario porre attenzione al riconoscimento degli impianti, alla conoscenza del fabbricato sia per gli aspetti tecnici sia per il ruolo che l’edificio svolge nella storia dell’uomo, nel contesto urbano e paesaggistico.   Il miglioramento della prestazione energetica dell’edificio storico, molto spesso, richiede modifiche che se non sono accuratamente progettate durante l’elaborazione della diagnosi energetica, possono pregiudicare sia l’aspetto documentale sia monumentale, oltre che mettere a rischio la sicurezza dell’edificio.   La diagnosi energetica negli edifici storici non è affatto un processo semplice, in quanto molto spesso mancano piantine, sezioni e conoscenza approfondita di materiali e stratigrafie delle pareti esterne ed interne. Per questo motivo è fondamentale affidarsi ad esperti del settore. Compila il form sottostante per scoprire come possiamo aiutarti.

Come effettuare la diagnosi energetica in imprese multisito e raggiungere l’obiettivo della Sen

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Nel 2014 è stato introdotto l’obbligo di diagnosi energetica. L’obbligo che rappresenta una preziosa opportunità per le imprese e il pianeta, grazie alla promozione dell’efficienza energetica che permette di contenere i costi e favorire la sostenibilità ambientale.   Perché è stato introdotto quest’obbligo? Per raggiungere l’obiettivo nazionale di risparmio energetico, stabilito dalla SEN, entro il 2020, attraverso la riduzione di milioni di TEP.   La diagnosi energetica ha l’obiettivo di disegnare la struttura energetica aziendale – per ogni vettore energetico presente – identificando un quadro completo ed esaustivo della realtà dell’impresa, potendo così attuare interventi mirati, appunto, al raggiungimento dell’efficienza energetica.   Identificare l’impresa per la diagnosi energetica   Le imprese obbligate a diagnosi energetica sono le Grandi Imprese e quelle a forte consumo di energia. A tale scopo è necessario stabilire se l’impresa è associata, collegata o autonoma. Ciò è possibile calcolando il numero dei soggetti occupati – ULA – e gli importi finanziari.   Impresa associata: l’impresa che detiene, da sola o insieme ad una o più imprese collegate, una partecipazione uguale o superiore al 25% del capitale o dei diritti di voto di un’altra impresa; si può raggiungere la quota del 25% se vi sono investitori quali:   società pubbliche di partecipazione, società di capitale di rischio, persone fisiche che investono fondi propri in imprese non quotate; università o centri di ricerca pubblici e privati senza scopo di lucro; investitori istituzionali, tra cui fondi di sviluppo regionale; enti pubblici locali, con bilancio inferiore a 10 milioni di euro e meno di 5000 abitanti.   È necessario aggiungere ai propri dati anche quelli dell’impresa associata, in proporzione alla percentuale di partecipazione.   Impresa collegata: sono imprese collegate quelle tra cui sussiste una delle seguenti tipologie di relazioni:   un’altra impresa detiene la maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria; un’altra impresa detiene voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria; un’altra impresa ha il diritto, in virtù di clausola o contratto, di esercitare influenza dominante; un’altra impresa, in accordo con altri soci, controlla da sola la maggioranza dei diritti di voto.   Impresa autonoma: il capitale dell’impresa stessa non consente di determinare da chi è posseduto; l’impresa dichiara, quindi, in buona fede, l’inesistenza di imprese associate o collegate.   Sito produttivo: cos’è e come identificarlo   Il sito produttivo è una località geograficamente ben definita in cui sono prodotti beni e/o servizi, entro cui l’uso dell’energia è sotto il controllo dell’impresa.   Se un’impresa ha dei siti collegati in un unico sistema di rete – acquedotti, oleodotti – può considerare il sistema come un unico sito virtuale, quindi sottoporre a diagnosi la rete che collega i diversi siti.   Per le grandi imprese di trasporto i siti produttivi comprendono sia i luoghi dove si svolgono le attività, quindi officine, uffici, sia il trasporto stesso.   Esistono poi i siti produttivi di natura temporanea, il cui fine è eseguire uno specifico lavoro per un periodo di tempo limitato. La durata minima dell’attività deve essere di 4 anni.   Come individuare i siti produttivi con la clusterizzazione   I siti produttivi non devono necessariamente essere di proprietà dell’impresa, deve averne però il controllo dell’uso e dell’energia.   I siti dell’impresa che fanno capo ad un’unica partita IVA, o il gruppo di imprese con un unico bilancio consolidato, o il gruppo di imprese associate o collegate, hanno la possibilità di eseguire la diagnosi energetica solo su un gruppo significativo dei propri siti. Ciò avviene attraverso la clusterizzazione, metodologia di campionamento proposta da Enea.   Il campione prescelto di siti è costituito da una percentuale decrescente di ciascun gruppo per fascia di consumo. Si parte dal 50% dei siti per la fascia di consumi più alta, fino ad arrivare al 10% per la fascia più bassa. Si escludono i siti ad uso residenziale che appartengono al patrimonio immobiliare dell’impresa e va calcolato il consumo annuo di ciascun altro sito dell’impresa.   Cosa rileva la diagnosi energetica e che scopo ha?   La diagnosi energetica identifica come l’energia viene gestita e consumata:   come e dove l’energia entra nell’impianto come è ripartita e dove è utilizzata come si trasforma tra i punti di ingresso e i suoi utilizzi come può essere utilizzata in modo più efficace ed efficiente.   Qual è lo scopo?   L’azienda viene suddivisa in aree funzionali:   si acquisiscono i dati energetici dai contatori generali dello stabilimento; si costruiscono inventari energetici; si calcolano gli indici di prestazione energetica globali e per ogni area funzionale; si confrontano tali indici con i benchmark di mercato; si individua un percorso con interventi di efficienza energetica. Lo scopo finale è, dunque, raggiungere maggiore competitività del sistema produttivo e sostenibilità energetica.   Come effettuare la diagnosi energetica in un’impresa multisito   Le imprese multisito obbligate devono effettuare la diagnosi energetica su un numero di siti proporzionati e sufficientemente rappresentativi per poter tracciare un quadro chiaro della prestazione energetica dell’intera impresa, in modo da individuare le opportunità di miglioramento più significative.   Nella fase di trasmissione dei dati all’Enea saranno elencati tutti i siti dell’impresa, quindi il loro consumo annuale, indicando quali sono i siti sottoposti a diagnosi, motivandone la scelta.   Le sanzioni per mancata diagnosi sono applicate all’impresa, non al sito produttivo. È chiaro che l’impresa non è esentata dall’obbligo di diagnosi energetica, anche una volta applicata la sanzione.   Sistema di monitoraggio e diagnosi energetica: tanti vantaggi per la tua impresa   La diagnosi energetica si basa su dati relativi al consumo di energia, i quali devono essere misurati e rintracciabili.   Per questo è necessario introdurre un sistema di monitoraggio, che deve essere implementato nell’anno di riferimento per il calcolo dei consumi con la diagnosi energetica.   L’impresa è esentata dall’obbligo se ha adottato come sistema di gestione l’ISO 50001 a condizione che questo includa un audit energetico conforme al D. Lgs. 102/21014.   Se la tua impresa ha l’obbligo di diagnosi energetica contattaci per risparmiare e migliorare le tue performance.

ENEA e transizione energetica: dalla razionalizzazione al monitoraggio

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Come possono le aziende contribuire alla riduzione delle emissioni atmosferiche e fare qualcosa in materia di transizione energetica?   La transizione energetica in Italia è in stallo. A stabilirlo è l’ultimo rapporto energetico diffuso da ENEA che con indici e valutazioni sottolinea l’importanza di agire in materia di energia e a supporto dell’ambiente. Ma chi è chiamato all’azione? Attraverso quali interventi è possibile contribuire alla transizione energetica del paese? Scopriamolo insieme.   Rapporto Energetico ENEA: il primo semestre 2019 è deludente   Gli ultimi dati analizzati e diffusi da ENEA circa il rapporto energetico italiano mostrano quanto in Italia ci sia ancora da fare in materia di energia e ambiente.   L’indice ENEA ISPRED in negativo e una situazione di stallo per la transizione energetica, si chiude così l’analisi del primo semestre 2019 effettuata dall’ente.   L’indice ENEA ISPRED misura il livello di transizione energetica italiano basandosi su tre variabili importanti: i prezzi dell’energia, lo stato di decarbonizzazione e la sicurezza. Dei tre parametri solo l’ultimo restituisce un andamento positivo con +5% rispetto al -11% dei prezzi e il -8% della decarbonizzazione.   Le cause di questo peggioramento sono sicuramente legate al rallentamento di produzione di energia da fonti rinnovabili, all’aumento dei prezzi dell’energia che in Italia risultano essere più alti rispetto alla media europea e al fatto che i livelli di gas serra sono ancora altissimi.   Negli ultimi 50 anni la temperatura dell’atmosfera non ha fatto altro che registrare sempre più aumenti, quasi 0,2° per ogni decennio. L’effetto serra e le sostanze inquinanti rilasciate dalle produzioni industriali continuano a provocare un grosso danno all’ambiente e se carbone e petrolio restano tra le fonti fossili preferite per la produzione di energia elettrica diventa impossibile limitare l’aumento di CO2 nell’atmosfera.   Transizione energetica: definizione, obiettivi e misure   Il concetto di transizione energetica può essere tradotto con la semplice espressione ‘cambio di rotta’.   Si tratta dell’impiego di fonti più pulite per la produzione di energia elettrica in sostituzione di quelle fossili. Rendere effettivo, dunque, il passaggio dall’uso di fonti non rinnovabili, come carbone e petrolio, all’utilizzo di un mix energetico composto da risorse meno inquinanti e dannose per l’ambiente e da fonti rinnovabili.   L’aumento della temperatura atmosferica deve essere frenato per il bene del pianeta e tutte le forze coinvolte nell’economia globale sono chiamate a fare la propria parte.   In occasione della Conferenza di Parigi la Commissione Europea ha proposto a 195 paesi alcuni obiettivi da raggiungere:   Diminuire di 0,50° la temperatura atmosferica per ridurne l’impatto sul cambiamento climatico Garantire un flusso costante di finanziamenti volto alla nascita di nuove soluzioni scientifiche per la riduzione delle emissioni Migliorare l’adattabilità agli effetti negativi del cambiamento climatico Ridurre le emissioni di CO2 di almeno il 40% entro il 2030   A queste finalità si aggiungono quelle più a lungo termine fissate con il “2050 – A Clean planet for all” e i piani dell’Italia definiti dal PNIEC (Piano Nazionale Integrato Energia e Clima).   Ma se le istituzioni europee e nazionali fissano gli obiettivi e le linee guida da seguire, chi sono i soggetti chiamati all’azione?   Le imprese, aziende piccole o grandi che, operanti nel settore industriale, possono beneficiare l’ambiente attraverso un uso più razionale e sostenibile dell’energia.   Perché razionalizzare l’uso energetico aziendale?   Il concetto di razionalizzazione energetica è legato alla diffusione di una nuova cultura: utilizzare energia prelevata da risorse a basso impatto ambientale ottimizzandone il consumo aziendale.   Dunque si parte dalla definizione della politica energetica aziendale, utile a stabilire le materie e le fonti energetiche da cui attingere, per poi passare agli interventi di efficientamento energetico: azioni volte all’individuazione delle anomalie, degli eventuali sprechi energetici aziendali e all’eliminazione dunque di malfunzionamenti e consumi passivi.   Per fare un uso più razionale dell’energia aziendale, nelle grandi imprese spesso ci si affida a specifiche figure professionali quali:   L’energy manager: figura prevista dalla legge 10/91, obbligatoria solo per le grandi imprese operanti nel settore industriale il cui consumo energetico complessivo supera i 10.000 tep e per le aziende di altro settore con consumi che superano i 1.000 tep; L’EGE: figura menzionata per la prima volta nella Direttiva 20006/32/CE recepita dal D. Lgs. italiano 115/08. Una figura più dinamica che deve avere le conoscenze e le competenze giuste per guidare l’azienda interessata alla risoluzione dei problemi energetici aziendali tenendo conto degli aspetti economico-finanziari e ambientali.   Cosa ci guadagna l’imprenditore e quali vantaggi può trarre l’azienda da tutto questo?   Sostegno dell’ambiente per la riduzione delle emissioni atmosferiche Risparmio energetico e dunque anche economico Semplificazione dell’uso degli impianti Maggiore sicurezza per gli operatori   Monitoraggio energetico: come ottimizzare i consumi aziendali   Il monitoraggio energetico è un’azione che esamina i consumi energetici aziendali attraverso l’analisi degli impianti, dei reparti o delle aree produttive scelte.   Definito il fabbisogno energetico si passa all’individuazione degli sprechi, delle anomalie e di tutte le eventuali cause di dispersione energetica per poi definire le azioni di ottimizzazione necessarie al miglioramento dell’impianto o delle aree interessate.   Il successivo monitoraggio degli interventi effettuati consente di capirne l’efficacia e di quantificarne l’effettivo risparmio energetico ed economico raggiunto.   Il monitoraggio energetico è rivolto alle grandi imprese multisito, alle aziende del settore manifatturiero e terziario e alle aziende energivore.   Con Tecno puoi scegliere anche per una soluzione di monitoraggio più compatta:   Sopralluogo gratuito Zero costi iniziali Gestione e assistenza continuativa con un nostro EGE a tua disposizione   Ricorda che per effettuare il monitoraggio energetico non è necessario spegnere gli impianti né interrompere la produzione aziendale.   Compila il form sottostante per saperne di più.

Contratti EPC: solo benefici per le aziende

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Fire ed Enea impegnati nella promozione di una buona pratica che beneficia aziende e ambiente.   Gli Energy Performance Contract continuano a far discutere. Fire li definisce una best practice per le aziende ed Enea ne promuove l’utilizzo con progetti e indicazioni. Sei pronto a mettere in discussione ciò che pensavi degli EPC?   EPC: meno consumo energetico più sostenibilità ambientale   Gli interventi di efficienza energetica sono una valida risorsa per le aziende e per la società. Per questa ragione molti operatori del settore energetico hanno analizzato la validità di alcuni contratti energetici, ponendola all’attenzione delle PMI.   È il caso dell’EPC, un contratto le cui caratteristiche e potenzialità sono state oggetto di analisi durante un convegno organizzato dal Fire. Una best practice da attuare nel comparto industriale perché capace di limitare il consumo energetico aziendale generando meno costi per l’azienda e più salute per l’ambiente.   Energy Performance Contract: che cos’è l’EPC?   “Accordo contrattuale tra il beneficiario o chi per esso esercita il potere negoziale e il fornitore di una misura di miglioramento dell’efficienza energetica, verificata e monitorata durante l’intera durata del contratto, in cui i pagamenti sono effettuati in funzione del livello di miglioramento dell’efficienza energetica stabilito contrattualmente”.   Questa è la definizione ufficiale resa dal D. Lgs. 102/2014 in recepimento della Direttiva 2012/27/CE. Cosa significa in parole semplici? L’EPC è un contratto che viene stipulato tra un soggetto d’impresa richiedente e un fornitore energetico per l’attuazione di interventi di efficientamento energetico aziendale. L’obiettivo del contratto è intervenire sugli impianti aziendali o sull’edificio per migliorarne le prestazioni energetiche e ridurne dunque i consumi e la spesa aziendale.   La tipologia e la durata del contratto dipendono dalle esigenze delle parti coinvolte e dall’onerosità delle prestazioni.   Cosa lo differenzia dagli altri contratti? Con l’EPC il denaro utile alla realizzazione dell’intervento viene messo a disposizione dal fornitore energetico, aziende comunemente conosciute come Esco – Energy Service Company – le quali possono a loro volta attingere da fonti terze.   I vantaggi dell’EPC al servizio delle imprese   Non si tratta unicamente di agire riducendo i consumi energetici di uno stabile o degli impianti. L’EPC consente al titolare d’impresa di ottenere numerosi vantaggi.   Innanzitutto la possibilità di affidare l’analisi e l’ottimizzazione degli impianti a tecnici specializzati in efficienza energetica, liberandosi da eventuali dubbi circa le competenze degli operatori intervenuti.   Se il capitale finanziario utile per l’intervento viene messo a disposizione dal soggetto fornitore, il richiedente lascia che il rischio finanziario ricada esclusivamente sulla stessa Esco.   Infine, dato che il guadagno della Energy Service Company – o del soggetto fornitore – dipende dalla riuscita dell’intervento effettuato, il risultato finale è praticamente garantito.   GuarantEE ed ESI: progetti e modelli offerti dal settore   Gli EPC vengono definiti contratti atipici perché il legislatore non ha mai stabilito delle regole utili alla loro applicazione. Sebbene questa scelta sia stata fatta per consentire agli operatori di agire liberamente, tale mancanza ha ostacolato l’immediato decollo di questi contratti.   Ecco perché i soggetti coinvolti nel comparto energetico continuano a proporre progetti e modelli utili all’abbattimento di barriere culturali createsi nel tempo e a diffondere le giuste informazioni circa gli EPC.   Uno dei progetti è il GuarantEE promosso e seguito da ENEA, nato nell’ambito del programma Horizon 2020 e svolto in collaborazione con 12 paesi europei. Frutto di questo progetto è il rapporto finale contenente le tre raccomandazioni che ENEA destina agli operatori interessati:   Raccomandazione n.1: diffondere informazioni corrette sul funzionamento degli EPC; Raccomandazione n. 2: promuovere la figura del facilitatore, intermediario tra le parti coinvolte nel contratto EPC che agisce al fine di rendere più semplice la collaborazione; Raccomandazione n. 3: confermare la validità degli interventi di efficientamento energetico effettuati in quanto caratterizzati da performance misurabili e verificabili.   Altro modello di incentivazione dei contratti EPC, specie nel settore privato, è rappresentato dal Modello ESI proposto da Fire.   ESI sta per Energy Saving Insurance – assicurazione del risparmio energetico – e identifica un modello che in Europa è stato già promosso in tre paesi quali: Italia, Spagna e Portogallo.   Obiettivo del modello ESI è l’abbattimento degli ostacoli che invalidano l’applicazione degli interventi di efficienza energetica nei diversi settori industriali. Il modello comprende tre elementi:   la validazione: un ente deve provvedere alla validazione delle esperienze e delle competenze del fornitore di tecnologia. Elaborare la valutazione tecnica utile alla definizione della validità del progetto e del risparmio conseguibile e occuparsi della realizzazione degli standard di validazione; il contratto: la presenza di un contratto completo che contiene dettagli utili ai fornitori circa la determinazione dei requisiti di efficienza attesa, la metodologia di misura, gli indicatori e la presentazione dei risparmi; l’assicurazione del risparmio energetico fornita da parte terza: una polizza che assicuri che il fornitore rispetti i suoi obblighi, utile a creare fiducia tra gli operatori coinvolti (PMI e fornitore di tecnologia) e capace di ridurre il rischio per le banche e agevolare così l’approvazione di prestiti per la realizzazione degli interventi di efficienza energetica.   Intervieni a beneficio della tua azienda e dell’ambiente con Tecno   Purtroppo c’è ancora chi considera gli interventi di efficientamento energetico aziendale investimenti secondari. Questo è un grave errore, un concetto che va messo in discussione soprattutto in tempi come questi, in cui la sostenibilità ambientale e la riduzione delle emissioni di gas serra sono al centro dell’attenzione europea.   Ti aiutiamo a comprendere il valore dell’ottimizzazione energetica dei tuoi impianti.   Analisi degli impianti selezionati Individuazione degli sprechi di energia e di eventuali anomalie Miglioramento delle performance energetiche aziendali Riduzione della bolletta energetica   Contattaci per capire insieme in che modo puoi salvaguardare i tuoi risparmi rispettando l’ambiente.

Carbon Footprint: sostenibilità ambientale e riduzione emissioni CO2

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Il Protocollo di Kyoto è stato il primo accordo internazionale finalizzato alla riduzione dei GHG – Greenhouse Gases – per contrastare il cambiamento climatico. Si tratta di gas che, in base al Global Warming Potential, contribuiscono complessivamente al riscaldamento climatico globale.   Fare delle scelte consapevoli ed etiche sotto il profilo ecologico rappresenta per le aziende anche un’occasione per avvicinare i consumatori, sempre più attenti alle tematiche green, al rispetto dell’ambiente.   Efficienza ambientale: come raggiungerla?   Le norme che interessano le aziende dal punto di vista ambientale sono due: la famiglia delle norme ISO 14000 e la ISO 50001. Quest’ultima punta a promuovere le pratiche più efficaci di utilizzo dell’energia per migliorarne la gestione al fine di ridurre le emissioni di gas a effetto serra e raggiungere l’efficienza energetica.   Nello specifico, la ISO 14001 stabilisce i requisiti di un Sistema di Gestione Ambientale e attesta che l’azienda certificata ha un Sistema di Gestione adeguato per tenere sotto controllo l’impatto ambientale delle attività, cercando il miglioramento continuo in modo coerente, efficace, sostenibile.   Cos’è la Carbon footprint?   La Carbon footprint – impronta di carbonio – rappresenta la quantità di emissioni di gas a effetto serra generate nell’intero ciclo di vita di un prodotto/servizio.   La misurazione della Carbon footprint di un prodotto richiede l’individuazione e la quantificazione delle emissioni derivanti dall’estrazione e la trasformazione delle materie prime, dall’energia utilizzata, dalle fasi di produzione, distribuzione, uso e smaltimento del prodotto.   La Carbon footprint di un’Oìorganizzazione, invece, si può calcolare realizzando un inventario delle emissioni di gas serra, con riferimento annuale, per capire quanto e in quali attività o settori è presente l’impronta di carbonio, così da poterla ridurre o eliminare.   National System e Inventario nazionale di GHG   L’inventario nazionale – pubblicato ogni anno sul sito UNFCCC, United Nations Climate Change – riporta gli assorbimenti e le emissioni connesse con le attività umane, includendo i gas serra ad effetto diretto, indiretto e indiretto da consumo energetico. Sono espressi in termini di CO2 eq utilizzando i valori di Global Warming Potential in rapporto al potenziale di anidride carbonica – CO2.   Lo scopo dell’Inventario è fare una stima delle emissioni, comparando i comportamenti di tutti i Paesi che partecipano alla Convenzione, per definire misure in grado di ridurre le emissioni di gas serra e generare un report con le metodologie utilizzate.   ISO 14067: la norma che calcola l’impronta di carbonio   La norma internazionale ISO 14067 – Greenhouse Gases, Carbon Footprint of products – specifica i principi e le linee guida per la quantificazione e la comunicazione dell’impronta di carbonio di un prodotto, occupandosi del climate change. Aiuta a considerare quali sono i fattori e le attività che producono maggior impatto sulla carbon footprint così che si possa ridurre.   Il calcolo della carbon footprint di un prodotto viene eseguito utilizzando l’LCA – Life Cycle Assesment, secondo lo Standard ISO 14044.   Carbon Management: raggiungere la carbon neutrality   Con Carbon Management si intende la gestione delle emissioni CO2 e gas a effetto serra. Identificare e misurare l’impatto sul clima è la base di ogni strategia, per poter attuare interventi di riduzione delle emissioni, integrando ad esempio misure di carbon neutrality – zero emissioni – quali l’utilizzo di energie da fonti rinnovabili.   ISO 14064 e EMAS: controllo delle emissioni ed efficienza ambientale   Le emissioni di GHG costituiscono circa il 50% degli impatti ambientali umani. Ecco perché, nel tempo, sono state attivate delle misure volontarie per le aziende, così che queste potessero contenere le proprie emissioni di gas serra.   La ISO 14064 – relativa a emissioni ed assorbimenti dei gas ad effetto serra – è suddivisa in 3 parti, che rispettivamente si occupano di quantificazione e rendicontazione, riduzione ed assorbimento, validazione e verifica.   Le 3 parti della norma ISO 14064: 14064-1: progetta, sviluppa e gestisce gli inventari di GHG a livello di Organizzazione; un’impresa, ad esempio, con l’utilizzo di questa norma può calcolare la propria impronta di carbonio in riferimento ai siti produttivi, un’installazione, un cantiere, etc.; 14064-2: comprende la misurazione dei progetti relativi ai gas serra; fornisce una guida alla quantificazione, al monitoraggio e alla comunicazione di attività volte a ridurre o eliminare le emissioni; 14064-3: descrive il processo di validazione e verifica delle dichiarazioni relative alle emissioni di gas serra delle Organizzazioni.   Eco-Management and Audit Scheme   L’EMAS – Sistema di Eco-gestione e Audit – è un sistema che consente la registrazione alle aziende che vogliono valutare e migliorare la loro efficienza ambientale, monitorando costantemente l’impatto ambientale riducendo costi di produzione e consumo. Rappresenta il riconoscimento ufficiale europeo per performance ambientali di eccellenza.   Sviluppo sostenibile ambientale: dalla coscienza individuale a quella globale   Adottare un pensiero ecologico consapevole è necessario per il raggiungimento della sostenibilità ambientale, prima di ogni certificazione. Un obiettivo raggiungibile con politiche e strategie, prima individuali poi globali, al fine di ottenere un’economia a basso impatto di emissioni di gas serra.   Contattaci subito per avviare l’iter di certificazione carbon footprint con un team esperto.

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