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Ecobonus 110 e CAM Edilizia: accedere alla maxi detrazione con l’EPD

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Questo contenuto è stato aggiornato in data 30/12/2020   Quando gli interventi di efficientamento energetico degli edifici sono compatibili con il superbonus al 110%.   La sostenibilità dei materiali impiegati durante i lavori di efficientamento energetico è una delle condizioni essenziali poste dal Decreto Rilancio per accedere e beneficiare della detrazione fiscale al 110%. Pertanto, le imprese incaricate dell’esecuzione dei lavori devono prontamente dimostrare che i materiali usati sono conformi ai requisiti disposti dal CAM Edilizia. Come? Basta ottenere la certificazione giusta.   Ecobonus al 110%: gli interventi ammessi al superbonus   Lo Stato riconosce una detrazione fiscale al 110% ai contribuenti che sostengono spese per lavori di efficientamento energetico nel periodo compreso tra il 1° luglio 2020 e il 30 giugno 2022; con ulteriore proroga di 6 mesi per chi al 30 giugno avrà concluso i lavori al 60%. Al fine dell’ammissione al bonus, i lavori devono interessare gli edifici esistenti e devono essere inclusi tra i seguenti:   isolamento termico delle superfici che interessano l’involucro dell’edificio; sostituzione (e non integrazione) degli impianti di riscaldamento esistenti con impianti centralizzati: a condensazione, a pompe di calore, microcogenerazione, ibridi, geotermici o anche abbinati ad impianti fotovoltaici e relativi sistemi di accumulo; interventi di efficientamento energetico previsti dall’art. 14 del D. L. 63/2013 – come l’acquisto di schermature solari, ecc. – congiuntamente eseguiti ad uno degli interventi già elencati.   Saranno però ammessi al superbonus al 110% i soli interventi che consentono:   il miglioramento di due classi energetiche o – in alternativa – il raggiungimento della classe energetica più alta testimoniato dall’APE (Attestato di Prestazione Energetica) pre e post intervento; il rispetto dei requisiti minimi previsti dal comma 3-ter dell’art. 14 del D. L. 63/2013.   Inoltre, bisognerà dimostrare che i materiali usati durante i lavori di efficientamento energetico, specie in materia di isolamento termico, siano conformi ai requisiti previsti nel CAM Edilizia.   Isolamento termico: azione efficiente di risparmio energetico   Incluso tra gli interventi trainanti del superbonus al 110%, l’isolamento termico è una delle azioni più efficaci per conseguire ottimi risultati di risparmio energetico. L’obiettivo dell’isolamento termico è quello di ridurre il consumo delle risorse energetiche necessarie al riscaldamento e al raffrescamento dell’edificio.   Le imprese di installazione agiscono direttamente sulle superfici che interessano l’involucro dello stabile, adoperando specifici strumenti e materiali ad hoc. La scelta degli isolanti da utilizzare è fondamentale, dato che – secondo quanto stabilito con il comma 1 dell’art. 119 del Decreto Rilancio – dalla loro natura dipende l’ammissibilità al superbonus al 110%.   CAM Edilizia: i criteri ambientali minimi che devono orientare le imprese   Tra le condizioni di accesso al Superbonus al 110% c’è anche il rispetto dei requisiti CAM. I Criteri Ambientali Minimi – contenuti e definiti nel Decreto Ministeriale dell’11 ottobre 2017 – sono requisiti ambientali ed ecologici che guidano verso l’ottimizzazione dei consumi mediante soluzioni progettuali, prodotti o servizi a basso impatto ambientale.   In campo edilizio, il decreto stabilisce che i CAM devono essere adottati in fase di progettazione di nuove costruzioni, di ristrutturazione e manutenzione degli edifici esistenti; e che i materiali impiegati devono essere conformi a tre criteri comuni:   disassemblabilità: una precisa percentuale dei componenti edilizi deve essere sottoponibile, a fine vita, a demolizione selettiva ed essere riciclabile o riutilizzabile; materia recuperata o riciclata: i materiali utilizzati per l’edificio devono essere caratterizzati da una percentuale minima di materia riciclata o recuperata; sostanze pericolose: nei componenti non devono essere aggiunte intenzionalmente sostanze dannose, come quelle identificati quali “estremamente preoccupanti” (art. 59 Regolamento 1907/2006/CE), additivi a base di piombo, mercurio, arsenico, ecc., sostanze o miscele classificabili con le indicazioni di pericolo.   Finora il rispetto dei CAM è stata una condizione imprescindibile per le imprese e i soggetti interessati a collaborare con la Pubblica Amministrazione; ora però – con la misura inserita nel Decreto Rilancio – il rispetto dei criteri ambientali minimi diviene fondamentale anche per accedere alla maxi detrazione del 110%.   Tutti gli aspiranti devono prestare grande attenzione ai materiali da impiegare per gli interventi di efficientamento energetico, perché bisognerà dimostrare che si tratta di prodotti a basso impatto ambientale e quindi conformi ai requisiti CAM.   Secondo i Criteri Ambientali Minimi, alcuni materiali devono essere composti da una precisa percentuale di materia riciclata, ad esempio gli isolanti. Composizione che l’impresa incaricata dei lavori dovrà dimostrare mediante la presentazione di una delle certificazioni ammesse:   una dichiarazione ambientale di prodotto di tipo III (EPD) una certificazione di prodotto attestante il contenuto riciclato rilasciata da organismi di valutazione come Plastica Seconda Vita o ReMade in Italy una certificazione di prodotto conforme alla norma ISO 14021 rilasciata da un organismo di valutazione   Certifica la sostenibilità dei materiali con l’EPD e accedi alla maxi detrazione   La Dichiarazione Ambientale di Prodotto – o EPD (Environmental Product Declaration) – è uno schema di certificazione volontaria di valenza internazionale, che fornisce informazioni precise circa l’impatto ambientale di prodotti e/o servizi. L’EPD permette di determinare l’impatto ambientale che un dato prodotto/servizio ha durante il suo intero ciclo di vita.   L’impresa o l’azienda che consegue la certificazione EPD ha l’opportunità di comunicare in maniera trasparente e agevole l’impatto ambientale dei prodotti utilizzati e offerti. Un vantaggio che non va sottovalutato, specie nelle operazioni di confronto b2b e b2c.   Con l’EPD differenzi i tuoi prodotti sul mercato ed accedi alle agevolazioni promosse in campo edilizio come il Superbonus al 110%.   Aumenta le tue opportunità di business; fallo con Tecno.

Certificazione Carbon Footprint di prodotto: cos’è e perché ottenerla

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Come individuare, quantificare e ridurre le emissioni di CO2 di prodotti e/o servizi.   Quante emissioni di gas serra producono i prodotti che realizzo e che offro sul mercato? Con la carbon footprint di prodotto le aziende possono finalmente trovare una risposta a questa domanda. Scopriamo come individuare i fattori e le operazioni che incidono negativamente sull’impronta climatica dei prodotti offerti, come agire per ridurre le emissioni di CO2 del loro ciclo di vita e approfittare degli infiniti benefici che la certificazione carbon footprint può donare all’azienda.   Carbon Footprint di prodotto: stimare le emissioni di gas serra di un bene/servizio   L’entità delle emissioni di gas serra di un prodotto e/o di un servizio può essere stimata mediante la carbon footprint di prodotto. L’impronta di carbonio (carbon footprint) è infatti un parametro che permette all’azienda, all’impresa o all’organizzazione di conoscere quante emissioni di CO2 produce un prodotto/servizio durante tutto il suo ciclo di vita. Emissioni che sono espresse in tonnellate di CO2 equivalente e che – se accuratamente identificate e monitorate – possono essere ridotte e addirittura eliminate.   Il ciclo di vita di un bene è caratterizzato da più fasi; step diversi durante i quali intervengono più fattori e vengono compiute operazioni che comportano emissioni atmosferiche di gas nocivi.   Dalla fase di estrazione delle materie prime a quelle di trasformazione delle materie in materiali; dalla fase di lavorazione dei materiali durante il ciclo produttivo a quelle dedicate all’imballaggio del bene prodotto. E ancora: dalla fase del trasporto del bene (dalla fabbrica ai punti di distribuzione) fino a quella in cui il prodotto viene usato dal consumatore e poi gettato, dunque destinato allo smaltimento finale.   Con la carbon footprint di prodotto le emissioni di GHG vengono individuate, quantificate e rendicontate nel rispetto dello standard ISO di riferimento e sulla base di criteri condivisi.   ISO 14067: lo standard dedicato all’impronta climatica di un prodotto   Il calcolo della carbon footprint di un prodotto avviene mediante lo standard internazionale ISO 14067. Un documento all’interno del quale è possibile trovare i principi, i requisiti e le linee guida utili per l’individuazione, la quantificazione e la rendicontazione delle emissioni di GHG di un prodotto.   Grazie a questo strumento le aziende interessate alla carbon footprint di prodotto possono capire con facilità quali sono i fattori e le attività che incidono negativamente sull’impronta di carbonio del prodotto in esame. Più è semplice identificarli, più sarà semplice procedere alla riduzione del loro impatto.   La norma ISO 14067 è stata revisionata nel 2018 e non presenta alcun dettaglio né in merito alla comunicazione della carbon footprint né in materia di verifica. È possibile trovare queste informazioni consultando rispettivamente la norma ISO 14026 e la parte III della ISO 14064. Lo standard ISO 14067 interviene esclusivamente in merito all’impatto climatico del prodotto e tra i suoi punti fondamentali ci sono:   L’approccio allo studio LCA (Life Cycle Assessment) La metodologia per la quantificazione della carbon footprint di prodotto Il report dello studio LCA   Carbon Footprint di prodotto: i vantaggi della certificazione   Le certificazioni ambientali infondono fiducia sia nei consumatori sia negli operatori economici con cui l’azienda ha – o potrebbe avere – l’opportunità di confrontarsi, perché testimoniano l’affidabilità e la sostenibilità ambientale dei beni/servizi offerti. Chi sceglie di agire avviando un processo di carbon management decide di esporre la propria azienda ad una serie infinita di benefici, quali?   Aumento delle collaborazioni professionali Con la carbon footprint di prodotto l’azienda ha maggiori chance di partecipare e vincere gare d’appalto, di fornitura e bandi, anche con la pubblica amministrazione. Queste, infatti, possono superare le selezioni che la PA mette in atto per scegliere i partner per le proprie forniture, durante le quali favoriscono le aziende che offrono prodotti con un profilo ambientale migliore, perché conformi ai CAM (criteri minimi ambientali). Stessa cosa anche per gli appalti. Il nuovo codice degli appalti prevede, infatti, la riduzione delle garanzie fidejussorie per le aziende che possiedono la carbon footprint di prodotto, sia in caso di beni che di organizzazione.   Accesso alle agevolazioni statali previste per le aziende “ambientalmente meritevoli” Per conseguire gli obiettivi europei e nazionali in materia di climate change, l’UE e lo Stato italiano mettono a disposizione delle realtà “ambientalmente meritevoli” numerose agevolazioni. Ne sono un esempio i continui bandi pubblicati dalle Camere di Commercio territoriali che offrono, a livello locale, agevolazioni in favore di imprese che possiedono certificazioni ambientali, tra cui la carbon footprint di prodotto e di organizzazione.   Crescita delle vendite e delle entrate economiche Non è più una congettura, ma un dato di fatto: i consumatori preferiscono acquistare prodotti sostenibili e con un basso impatto ambientale, specie di emissioni. Questa dinamica interessa tanto gli acquisti fisici – compiuti in luoghi in cui il cliente può leggere l’etichetta del prodotto e verificarne la sostenibilità – quanto quelli compiuti online.   Infatti, aumentano i consumatori che preferiscono fare i loro acquisti mediante e-commerce alternativi che assicurino circa l’impatto ambientale dei prodotti presenti nello store. Questo avviene sia per l’industria del fashion – che possono contare su piattaforme dedicate come Slow Nature – sia per ogni altro tipo di prodotto. Anche Amazon, ad esempio, ha lanciato (per ora solo negli USA) una sezione dedicata ai prodotti sostenibili, chiamata appunto Climate Pledge Friendly. In questa sezione i beni a basso impatto ambientale vengono segnalati con una clessidra alata e le aziende che vogliono vendere i propri prodotti mediante questa piattaforma devono dimostrare la qualità offerta con diverse certificazioni ambientali, tra cui la carbon footprint di prodotto (Carbon Trust).   Aumento della green reputation aziendale Oggi gli investitori sono alla ricerca di aziende che sappiano valorizzare il pianeta in cui viviamo, e non distruggerlo. Tutti sono pronti ad investire su chi offre prodotti a basso impatto ambientale, realizzati tramite processi di produzione innovativi, green e magari caratterizzati anche da imballaggi riciclabili. L’azienda green attira il mercato e l’attenzione dei media, impegnati a cavalcare l’onda della sostenibilità anche segnalando ai consumatori quali prodotti

Carbon Footprint Organizzazione: rendicontare le emissioni di gas serra con la ISO 14064

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Come e perché avviare in azienda un percorso virtuoso, all’insegna della sostenibilità.   Le aziende che scelgono di acquisire la certificazione carbon footprint – calcolando e comunicando al pubblico l’entità delle proprie emissioni di gas serra – ottengono numerosi vantaggi. L’impegno ambientale, infatti, viene premiato, dai consumatori e non solo; ecco come sviluppare l’inventario delle emissioni GHG e perché è importante.   Carbon Footprint Organizzazione: un inventario per contrastare i cambiamenti climatici   Per rendicontare le emissioni di gas ad effetto serra e fornire informazioni dettagliate a stakeholder e consumatori attenti alle performance ambientali delle imprese, oggi molte aziende scelgono di calcolare la propria impronta di carbonio.   Con la carbon footprint, un’azienda – ma anche un sito produttivo, un gruppo societario o un singolo cantiere – può quantificare la totalità delle emissioni di gas ad effetto serra (GHG) mediante un approccio di tipo inventariale.   Cosa significa?   Che se per misurare l’impronta di carbonio di un prodotto viene analizzato l’intero ciclo di vita del bene, nel caso delle organizzazioni si procede con la redazione dell’inventario delle emissioni di GHG, considerando quelle dirette, indirette da consumo energetico e altre emissioni indirette.   Pertanto, l’azienda che intende definire la propria impronta di carbonio e certificarsi, deve rispettare quanto precisato dalla norma tecnica internazionale ISO 14064 e provvedere:   Alla realizzazione dell’inventario dei GHG (Greenhouses Gases – gas ad effetto serra) Alla definizione della procedura di gestione relativa ai dati acquisiti Alla redazione del report dei GHG da destinare al pubblico   ISO 14064 E CFO: sviluppare, progettare e rendicontare con la norma internazionale   La ISO 14064:2019 è la norma internazionale che specifica i principi e i requisiti necessari alla quantificazione e alla rendicontazione delle emissioni di gas serra di un’organizzazione. La norma supporta lo sviluppo dell’inventario delle emissioni di GHG, la gestione dei progetti volti alla riduzione/eliminazione delle emissioni e aiuta l’azienda a rendicontare e validare quanto rilevato.   La norma ISO 14064 è composta da tre parti, che possono essere usate anche separatamente. La prima è dedicata ai principi e ai requisiti utili alla progettazione e allo sviluppo degli inventari di gas serra, incluso i parametri necessari alla definizione dei confini di emissione dei GHG.   La seconda parte è dedicata ai progetti volti a ridurre/eliminare le emissioni di gas serra dell’organizzazione. In questa sezione sono presenti tutti i dettagli utili a definire il progetto, monitorare, quantificare e rendicontare i dati.   La terza parte è dedicata alla verifica di quanto rilevato in merito alle emissioni di GHG.   Certificazione Carbon Footprint Organizzazione: perché conviene alle aziende?   Le aziende che conseguono la certificazione carbon footprint ottengono numerosi vantaggi. Sul piano operativo, l’organizzazione riesce a identificare le sorgenti massive e l’intensità delle emissioni di gas serra relative alle attività aziendali e può capire, dunque, se e dove intervenire per fare la propria parte a beneficio dell’ambiente.   L’inventario delle emissioni di gas serra sviluppato diventa, inoltre:   Uno strumento efficace per identificare e gestire i rischi relativi ai gas serra Un dato efficace per definire le politiche aziendali e le prossime strategie di gestione Un utile baseline per monitorare – da qui in avanti – il miglioramento delle performance ambientali dell’azienda   Sul piano comunicativo, invece, l’azienda ha la possibilità di coinvolgere e informare stakeholder interni ed esterni circa le performance ambientali dell’organizzazione. Ciò contribuisce a:   Migliorare la green reputation Stuzzicare l’interesse dei consumatori e della PA Sostenere la Corporate Social Responsability (CSR)   Carbon Footprint di Organizzazione: il processo virtuoso che ti offre Tecno   L’impegno ambientale delle aziende viene premiato. Vuoi sapere in che modo?   Oggi i consumatori tendono a preferire i prodotti e/o i servizi offerti da aziende che hanno un approccio green. La pubblica amministrazione, così come gli enti locali, privilegiano le organizzazioni e le imprese dotate di certificazioni ambientali, riservando loro l’accesso facilitato a bandi, appalti e gare di fornitura.   È per queste ragioni che il nostro team ha scelto di accompagnare le organizzazioni interessate alla certificazione carbon footprint in ciò che è stato più volte definito un “processo virtuoso“. Un percorso che i nostri ingegneri fanno con l’azienda, la società, l’impresa o il gruppo societario interessato e che si concretizza mediante diverse fasi.   Step One: la parola d’ordine di questa fase è consapevolezza. Aiutiamo l’azienda a calcolare l’impronta di carbonio nel rispetto degli standard ISO di riferimento. Gestione, conoscenza e monitoraggio.   Step Two: prima di ogni intervento c’è un progetto, una struttura. È in questo momento che il rinnovamento e l’ottimizzazione delle prestazioni ambientali, dei consumi e delle emissioni di gas serra viene strutturato, considerando tutte le implementazioni e le azioni possibili.   Step Three: mettiamo a disposizione dell’organizzazione un software di monitoraggio per agevolare la consultazione futura dei dati e la definizione delle prossime strategie aziendali.   Vuoi ottenere la certificazione carbon footprint per la tua azienda? Lasciaci i tuoi dati.   Ti contatteremo per una prima consulenza gratuita.

Gestione dell’energia: come ridurre il consumo e i costi energetici di PMI e MPMI

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Cresce il divario tra Europa e Italia per il costo dell’energia elettrica. Ecco le misure promosse dallo Stato a favore del patrimonio imprenditoriale italiano.   Perché le PMI e le micro PMI pagano più delle grandi aziende per l’energia elettrica che consumano? Il divario tra Europa e Italia per il costo dell’energia continua ad aumentare, stavolta superando di ben 20 punti il differenziale del 2018, pari al 17%. Artigiani, piccole e medie imprese rappresentano più del 90% del tessuto imprenditoriale nazionale; il loro sviluppo va promosso, la loro autenticità va protetta e la loro competitività va aumentata.   Partendo dai dati diffusi dall’Osservatorio Energia 2020, vediamo come e mediante quali pratiche e quali agevolazioni le PMI italiane possono ridurre il consumo energetico aziendale e i costi correlati.   Osservatorio Energia 2020: costi che limitano la competitività delle imprese   Secondo i dati riportati nell’Osservatorio Energia 2020 del Centro Studi del CNA, il 99% delle imprese italiane paga per l’energia elettrica un costo che supera per il 54% quello pagato dagli altri consumatori europei.   Un costo che in Italia è sempre stato superiore rispetto al resto d’Europa, ma che nel 2019 aumenta in maniera eccessiva. Analizzando infatti l’andamento del prezzo, nello scorso anno il costo dell’energia in Europa ha subito un incremento pari al 6,7%; in Italia invece si è passati dal pagare 22,6 centesimi a 31,1 centesimi in un solo anno (+ 35,8%).   Il divario tra il prezzo dell’energia europeo e quello italiano continua ad aumentare, stavolta di ben 20 punti.   Chi paga il prezzo maggiore? Gli artigiani e le micro imprese. Quelle realtà che rientrano nella fascia di consumo fino a 20 MWh e che rappresentano una grossa fetta del tessuto imprenditoriale italiano.   Su queste imprese incombe da un lato il peso di un costo dell’energia che supera di gran lunga quanto invece pagato dalle grandi aziende (collocate nella fascia di consumo da 75mila a 150mila MWh), dall’altro l’onere per la rete di distribuzione, che è 7 volte maggiore rispetto a quello sostenuto dalle imprese energivore.   Insomma, le PMI italiane non solo pagano un costo totale in bolletta maggiore e sproporzionato rispetto a quanto pagato dalle grandi aziende, ma devono anche fare i conti con una lista di ostacoli, quali oneri, imposte, burocrazia, costo del lavoro, ecc. che non fanno altro che rendere ancora più faticosa la loro competizione nel mercato europeo.   Le agevolazioni per la gestione dell’energia elettrica: il riscatto delle PMI   A favore delle PMI interviene lo Stato, mettendo a loro disposizione agevolazioni volte a promuovere gli investimenti in efficienza energetica, mediante interventi di energy management e/o l’introduzione di Sistemi di Gestione dell’Energia ISO 50001.   Si tratta di bandi e di voucher emessi dalle Regioni e dalle Camere di Commercio territoriali rivolti unicamente a PMI e MPMI (micro, piccole e medie imprese).   L’obiettivo comune è quello di promuovere lo sviluppo economico delle imprese locali mediante l’adozione di interventi di efficientamento energetico e sistemi di gestione certificati. Con queste misure gli enti mettono a disposizione contributi da cui attingere per supportare le spese sostenute per il rilascio delle certificazioni, ma anche per le spese di consulenza e di formazione del personale nell’ambito dei suddetti interventi.   Analisi energetica dell’esistente: un passo imprescindibile per l’efficientamento energetico aziendale   Se l’energia elettrica diventa sempre più costosa, i miglioramenti nell’efficienza energetica divengono ancor più utili e interessanti. Prima di compiere qualsiasi intervento di efficientamento; prima di introdurre sistemi di monitoraggio o di gestione dell’energia bisogna però effettuare l’analisi dell’esistente, ossia la verifica delle condizioni energetiche presenti in azienda.   Non importa la dimensione, tutte le aziende, le piccole, le medie e le grandi, devono stabilire un punto di partenza, lasciarsi guidare da un energy manager esperto e andare avanti con il processo dell’analisi energetica, che include fasi come:   Definizione degli obiettivi Raccolta di dati e misure Preparazione dei dati e degli indicatori Sviluppo di analisi input-output e di diagrammi di flusso Verifica e interpretazione dei dati   E a monte di tutto questo va definita l’intensità dei consumi energetici e determinata la struttura degli stessi.   Trova il tuo energy manager in Tecno!   I nostri esperti ti aiuteranno a capire dove e come intervenire per migliorare le prestazioni e i costi energetici della tua impresa.   Scrivici.

Agroecologia e certificazioni ambientali: preserviamo il futuro dell’Europa

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La politica agricola comune europea (PAC) punta sull’agroecologia e sulla filiera corta per incentivare una produzione alimentare che sia all’altezza degli obiettivi UE in materia di cambiamenti climatici. Stagionalità, territorialità, risparmio e innovazione sono i pilastri della transizione agroalimentare e le aziende del settore devono uniformarsi entrando in possesso delle giuste pratiche e certificazioni ambientali.   Un sistema a zero emissioni con l’agroecologia e la filiera corta   L’agricoltura può favorire il raggiungimento degli obiettivi fissati al 2050 in materia di riduzione di emissioni e di riscaldamento climatico?   Il settore agricolo è uno dei più emblematici del sistema economico europeo e che più di tutti subisce le conseguenze e gli effetti dei cambiamenti climatici – basti pensare alla potenza distruttiva di una pioggia torrenziale su un raccolto – ed è al contempo un settore principale nella mitigazione degli stessi.   Con una mitigazione efficiente è possibile, infatti, garantire redditi e sicurezza ambientale, sia perché il settore agricolo è fonte di sostenibilità di più di un 1/3 della forza lavoro mondiale, sia perché esso gestisce circa metà delle terre emerse del pianeta.   La Politica Agricola Comune ( PAC) promossa dalla Commissione UE – guidata da Ursula van der Leyen – propone di conciliare la produzione alimentare con la salvaguardia economica delle comunità rurali e le sfide ambientali, quali: cambiamenti climatici, gestione delle risorse idriche, bioenergie e biodiversità.   L’UE sceglie di seguire l’approccio suggerito dagli scienziati, dalle associazioni unite dall’hashtag #cambiamoagricoltura e dal CESE (Comitato Economico e Sociale Europeo) puntando, dunque, tutto su agroecologia e filiera corta.   Agroecologia e filiera corta: di cosa si tratta?   “L’agroecologia è un approccio integrato che applica simultaneamente concetti e principi ecologici/sociali alla progettazione e alla gestione dei sistemi alimentari e agricoli. Cerca di ottimizzare le interazioni tra piante, animali, esseri umani e ambiente tenendo conto degli aspetti sociali che devono essere affrontati per un sistema alimentare sostenibile equo”.   È in questo modo che la FAO definisce l’agroecologia. Scienza, pratica e responsabilità sociale si fondono per aumentare le quantità di cibo prodotte senza alterare lo stato degli ecosistemi. L’approccio agro-ecologico si oppone quindi al metodo tradizionale che – negli ultimi anni – ha danneggiato l’ambiente causando: perdita di suolo, di materie organiche, di biodiversità ed emissioni massicce di gas nocivi.   L’agroecologia promette benefici sia a produttori che consumatori. I primi possono usufruire di una maggiore fertilità del suolo, diversificare la produzione e approfittare di una notevole riduzione dei costi di produzione. I consumatori, invece, possono accedere a prodotti di qualità offerti a costi ragionevoli e che preservano risorse e biodiversità.   Filiera corta: dalla storia all’importanza strategica   La filiera corta – o vendita diretta – è intesa come l’insieme di attività che prevedono un rapporto diretto tra produttore e consumatore. Cerchiamo però di comprendere meglio questo concetto, facciamolo con una breve storia.   C’erano una volta i mercati contadini, luoghi rionali in cui i produttori vendevano la merce raccolta ai consumatori. Nel tempo, i mercati contadini sono stati offuscati e sostituiti dai grandi canali di vendita, quali ipermercati e centri commerciali; luoghi che consentono al consumatore di trovare a qualsiasi ora un prodotto controllato.   Passano gli anni e i clienti tornano a preferire l’esperienza di vendita diretta, la condivisione, quel momento di acquisto che si arricchisce dell’opportunità di scambiare qualche informazione. Il commerciante però non è più il contadino, ma l’intermediario; colui che acquista attingendo da mercati generali o centri agroalimentari e garantisce per la qualità dei prodotti offerti.   Si comincia a parlare così di farmers’ market, forme di vendita che all’estero si inseriscono tra le Afn (Alternative food network), ossia canali che si differenziano da quelli tradizionali. In Italia, però, ciò che altrove viene identificato come farmers’ market si arricchisce divenendo un’esperienza di acquisto di prodotti tipici locali. Territorio, valori e tradizioni, dunque, prima di ogni cosa.   Oggi, la filiera corta rappresenta non solo un’occasione di sopravvivenza, ma una seria opportunità di successo imprenditoriale. I commercianti possono diversificare la propria offerta vendendo prodotti coltivati e raccolti in aree vicine; assicurarsi un reddito sicuro e un risparmio economico notevole. La vendita di prodotti a chilometri zero aiuta i venditori ad evitare i costi di trasporto, dunque a limitare la spesa di carburante e le emissioni atmosferiche correlate. A ciò va aggiunto il risparmio di energia necessaria evitato grazie al rispetto del ciclo di vita naturale delle stagioni.   Quando però la filiera corta non si adatta alle realtà aziendali più grandi è all’etichettatura ambientale europea che bisogna ricorrere, per certificare la qualità e l’impatto ambientale dei prodotti e rendere più consapevoli i consumatori.   Carbon footprint ed EPD: le certificazioni di sostenibilità per il settore agroalimentare   Con la Carbon Footprint un’azienda può misurare l’entità delle emissioni di gas serra nell’atmosfera di un prodotto o di un’organizzazione. In caso di prodotti l’analisi coinvolge l’intero ciclo di vita del bene. Diversamente, l’organizzazione che intende conseguire la certificazione carbon footprint sceglie di agire per determinare il valore delle emissioni di gas serra prodotte nell’intero anno dell’esercizio aziendale, pertanto sarà interessata da un iter differente.   La certificazione EPD è, invece, uno strumento utile a comunicare le prestazioni ambientali di prodotti e/o servizi. Il possesso dell’EPD semplifica il confronto di prodotti equivalenti e agevola la commercializzazione di beni e servizi favorendo l’acquisto consapevole e responsabile dell’utente.   Carbon Footprint ed EPD sono tra le certificazioni oggi più richieste dalle aziende, soprattutto per partecipare a bandi e gare di fornitura del settore agroalimentare.   Dai una svolta al tuo business e lasciati seguire da Tecno.   Contattaci per saperne di più.

Sostenibilità ambientale: impossibile fare a meno della tecnologia

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Fonti diverse rivelano che la tecnologia è fondamentale per perseguire gli obiettivi di sostenibilità ambientale europei. L’innovazione favorisce la decarbonizzazione; la consapevolezza sostiene il rinnovamento. Esploriamo insieme i futuri motori di crescita del sistema economico ed energetico europeo.   Il potere dei dati per supportare le politiche ambientali europee   La decarbonizzazione digitale è uno dei capisaldi del nuovo piano economia circolare promosso dalla Commissione Europea. Uno strumento che si aggiunge alle già previste misure che l’Unione sceglie di adottare per consentire agli Stati membri di divenire presto nazioni ad emissioni zero (o quasi).   Strumenti digitali e tecnologie innovative diventano protagonisti di un piano efficiente; perché l’azione responsabile di imprenditori e cittadini spesso non basta a favorire la transizione energetica. Bisogna sfruttare il potere dei dati; attuare metodologie nuove e implementare sistemi capaci di fare rilevazioni reali ed esatte, lontane da quelle fatte finora in maniera manuale e superficiale.   Sfruttare il potere dei dati, dunque la tecnologia e le soluzioni digitali, per favorire la riduzione dei consumi energetici e delle emissioni atmosferiche nocive di settori europei fondamentali: economico, energetico e dei trasporti.   Tecnologia e consapevolezza: un binomio perfetto per la sostenibilità ambientale   Nell’ambito del manifesto per la sostenibilità digitale promosso dal Digital Transformation Institute è stato presentato il libro di Stefano Epifani “Perché la sostenibilità non può fare a meno della trasformazione digitale“. La tecnologia ha già contribuito a migliorare le nostre vite, la nostra quotidianità, il nostro lavoro, e continuerà a farlo. Perché allora non impiegarla come strumento di sostenibilità?   ” . . se la digitalizzazione è una scelta (talvolta obbligata) di un individuo o di una organizzazione orientata a cambiare un comportamento, la trasformazione digitale va molto oltre. Impone alle persone ed alle organizzazioni di riflettere sul senso di ciò che fanno. Per questo la digital transformation è rivoluzione di senso”.   È quanto l’autore esprime in merito alla trasformazione digitale, concetto – a suo parere – oggi abusato.   In sintesi, è l’atteggiamento delle persone che deve cambiare; ogni singola componente umana dell’impresa o dell’organizzazione deve saper sfruttare le potenzialità dell’innovazione tecnologica. È sbagliato subire passivamente il mutamento tecnologico, bisogna capirlo, affrontarlo, sfruttarlo. La consapevolezza è motore della transizione digitale.   Energy manager e audit energetico: la consapevolezza spinge verso la decarbonizzazione   Per raggiungere gli obiettivi di riduzione dell’inquinamento fissati al 2030 dalla Strategia Energetica Nazionale e dal più recente Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), l’Italia deve valorizzare la filiera nazionale, puntando sulla piccola scala, considerata la giusta dimensione per la penisola.   Si tratta di una delle deduzioni emerse dallo studio “Una strategia energetica per l’Italia” svolto da Federmanager in collaborazione con Aiee (Associazione Italiana economisti dell’energia). Secondo i dati riportati in quest’attenta analisi – incentrata sugli sviluppi del settore energetico italiano in virtù della decarbonizzazione – si evidenzia che l’efficienza energetica risulta essere il settore più sviluppato.   Un risultato positivo garantito senz’altro da due importanti cambiamenti: la rivalutazione della figura dell’energy manager in ambito aziendale e l’obbligatorietà degli audit energetici. Fattori che spingono le imprese e le organizzazioni ad adeguarsi agli standard di efficienza, ottimizzando i consumi energetici interni e riducendo gli sprechi.   Le realtà imprenditoriali italiane si stanno misurando con l’implementazione di nuove tecnologie e con le sfide connesse alla sostenibilità ambientale; e il modo migliore per continuare a farlo è mediante la consapevolezza.   Capire che è fondamentale lasciarsi guidare da figure professionali esperte del settore energetico, come l’energy manager. Un profilo professionale che ad oggi rileva 2.300 posizioni attive, una crescita dal 4 al 6% per i settori obbligati alla nomina dell’energy manager ed una superiore al 15% per quelli non obbligati (dati Fire 2020).   Energy management e ISO 50001: un sistema di gestione dell’energia per la decarbonizzazione   Riduzione dei consumi e degli sprechi energetici, digitalizzazione, uso razionale di fonti e risorse sono azioni fondamentali per conseguire gli obiettivi fissati nelle strategie politiche ambientali europee.   L’implementazione di un Sistema di Gestione dell’Energia, secondo gli standard fissati dalla norma internazionale ISO 50001, consente alle aziende – di qualsiasi settore e dimensione – di accedere ad un’energia pulita, affidabile e sostenibile.   Scegli di avviare un percorso nuovo caratterizzato da digitalizzazione e sostenibilità all’insegna del Green Deal.   Scopri come con Tecno.

La cogenerazione per la sostenibilità ambientale e il risparmio economico aziendale

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Guida all’implementazione di impianti di cogenerazione per l’ottenimento degli incentivi per l’efficienza energetica aziendale.   La cogenerazione è una tecnologia che oggi più che mai può recare vantaggi reali e cospicui alle aziende, sia in termini ambientali sia economici. Bisogna fare la propria parte per favorire la riduzione delle emissioni atmosferiche; occorre contribuire alla riduzione dei consumi energetici; è necessario facilitare la ripresa economica delle imprese italiane con soluzioni rapide e agevolabili. La cogenerazione consente di fare questo e molto di più.   L’efficienza energetica aziendale all’insegna della sostenibilità   Stiamo vivendo un particolare momento storico, profondamente segnato dai cambiamenti climatici e dall’esigenza di agire per mitigare l’impatto ambientale delle nostre attività.   I singoli cittadini vengono invitati ad acquistare e agire responsabilmente, le aziende sono chiamate a rinnovare i processi produttivi all’insegna della digitalizzazione e lo Stato s’impegna nella promozione dell’efficienza energetica mediante incentivi e agevolazioni fiscali.   Come può un’azienda fare la propria parte a beneficio dell’ambiente soddisfacendo nel frattempo anche il fabbisogno energetico e termico aziendale? Con la cogenerazione.   Cogenerazione: cos’è e come funziona   La cogenerazione è una tecnologia che permette di autoprodurre energia elettrica e termica mediante l’uso di un solo impianto.   Un impianto di cogenerazione utilizza materie prime come gas naturale, biogas, e oggi anche risorse da fonti rinnovabili come biomasse a base solida, liquida o gassosa. Queste risorse vengono impiegate per far funzionare il generatore e produrre energia elettrica. Grazie, poi, ad alcuni dispositivi di recupero, l’energia termica prodotta dalla turbina o dal motore viene catturata, riuscendo così ad impiegare il calore che altrimenti andrebbe disperso.   Chi può installare un impianto di cogenerazione?   Le imprese, le aziende, ma anche gli enti pubblici, gli ospedali, le strutture sportive, ecc. Tutte le realtà possono installare un impianto di cogenerazione per la produzione combinata di energia elettrica e di calore, perché si tratta di una tecnologia adatta a chi necessita di un grosso e continuo quantitativo di energia – elettrica e termica – specie le aziende con linee di produzione.   CAR: la cogenerazione ad alto rendimento   Si definisce ad alto rendimento l’unità di cogenerazione per la quale si rileva un risparmio di energia risparmiata (PES) pari ad almeno il 10%. Per le unità di micro-cogenerazione o di piccola cogenerazione basta conseguire, invece, un valore positivo.   I vantaggi reali per l’ambiente e per le finanze aziendali offerti dalla cogenerazione   La cogenerazione presenta numerosi vantaggi, di natura economica, ambientale ed energetica.   Innanzitutto, avere a disposizione un impianto di cogenerazione significa evitare di dipendere dall’alimentazione energetica delle reti di trasmissione nazionali e dunque di provvedere in maniera indipendente per soddisfare il fabbisogno energetico interno. Ciò permette di evitare eventuali disagi legati all’interruzione dell’alimentazione energetica e di conseguire un importante risparmio in bolletta.   Rispetto al consueto metodo di approvvigionamento energetico, la cogenerazione richiede tra il 10 ed il 30% di materia prima in meno per produrre energia elettrica e termica. Ciò genera la riduzione delle emissioni di gas atmosferici nocivi e consente dunque di agire positivamente sia per l’azienda che per l’ambiente.   Altro fattore da non sottovalutare è il ritorno dell’investimento. Con la cogenerazione gli utenti beneficiari possono accedere agli incentivi statali a disposizione e dunque recuperare l’investimento iniziale in tempi piuttosto brevi, specie per chi si lascia guidare dall’esperienza di una ESCo accreditata.   Incentivi per la cogenerazione: gli alti e i bassi dei Certificati Bianchi   L’installazione di impianti di cogenerazione permette all’azienda interessata di beneficiare di alcuni incentivi statali. Parliamo dei Certificati Bianchi riconosciuti dal GSE agli impianti di Cogenerazione ad Alto Rendimento energetico (CAR).   Il GSE (Gestore dei Servizi Energetici) si occupa delle analisi preliminari per le unità di cogenerazione che si vuole includere al meccanismo; analisi che possono essere fatte in qualsiasi periodo dell’anno, volte ad individuare eventuali carenze e le modifiche da apportare.   I Certificati Bianchi, chiamati anche Titoli di Efficienza Energetica (TEE) sono titoli che attestano il conseguimento di un risparmio energetico ottenuto mediante un intervento di efficientamento energetico. Accedendo al GME è possibile vendere i Certificati Bianchi ottenuti in cambio di un contributo economico variabile.   La vendita e lo scambio dei TEE tra soggetti obbligati e soggetti volontari vengono gestiti dal GME (Gestore dei Mercati Energetici) mediante specifiche sessioni di vendita.   Dal 2005 al 2017 il meccanismo dei Certificati Bianchi ha permesso di conseguire risultati importanti in termini di risparmio energetico con 27 milioni di Tep risparmiate e oltre 51 milioni di Certificati Bianchi prodotti.   Negli ultimi anni, a causa di criteri di ammissibilità sempre più stringenti e di pratiche illecite, questo meccanismo ha incontrato qualche difficoltà, arginate poi nel 2018 con un Decreto Ministeriale che ha portato non poche modifiche.   Nel primo semestre del 2019, nell’ambito delle CAR i Certificati Bianchi (o TEE) rilasciati sono stati 634.861. Ciò dimostra un ritorno di fiducia verso questo meccanismo d’incentivazione e che i Certificati Bianchi continuano ad essere un valido strumento per promuovere l’efficienza energetica aziendale.   Tecno: esperienza, competenza e professionalità al servizio delle aziende   In qualità di ESCo accreditata dal 2005 presso ARERA, offriamo ai nostri clienti un servizio completo, caratterizzato da variabili indispensabili: esperienza pluriennale, competenza professionale e innovazione digitale.   Guidiamo le aziende interessate all’implementazione di un impianto di cogenerazione partendo dalla definizione del profilo di carico energetico presente al fine di individuare la soluzione migliore di cogenerazione.   I nostri tecnici si occuperanno di provvedere a tutti gli adempimenti amministrativi legati al generatore: richiesta della licenza fiscale all’Agenzia delle Dogane, richiesta di connessione in parallelo alla rete di distribuzione nazionale, produzione della dichiarazione annuale di consumo.   Se l’azienda intende partecipare al meccanismo dei Certificati Bianchi provvediamo noi ad istruire la pratica per ottenere prima la qualifica CAR e poi l’accesso al meccanismo. E se l’impresa vorrà procedere alla vendita dei certificati conseguiti, supportiamo l’iscrizione e le contrattazioni nell’ambito del GME.   Incontra i nostri esperti, scrivici.

Economia circolare europea: un nuovo piano per ridurre sprechi ed emissioni

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La Commissione UE adotta nuove misure per limitare l’impatto ambientale ed economico del consumo europeo e rendere l’Europa a emissioni zero entro il 2050.   Razionalizzare risorse e materie per ridurre gli sprechi e i rifiuti. Puntare ancora una volta sulla digitalizzazione per arrivare alla progressiva decarbonizzazione dell’Unione. Spingere le imprese produttrici ad incrementare la circolarità nei processi produttivi. Sono solo alcune delle misure che la Commissione europea intende attivare presto perché incluse nel nuovo piano d’azione per l’economia circolare.   L’action plan UE per l’economia circolare: è ora di evitare sprechi di materie e risorse   A partire dall’11 marzo 2020 la Commissione UE adotta un nuovo piano d’azione per l’economia circolare (COM/2020/98 final), uno degli elementi principali del Green Deal europeo. L’Europa parte dai risultati raggiunti finora mediante le azioni attivate a partire dal 2015 per definire un quadro strategico lineare con gli obiettivi fissati.   Lo scopo del piano di decarbonizzazione circolare è quello di limitare l’impatto ambientale ed economico del consumo europeo per rendere l’Unione a emissioni da carbonio quasi zero entro il 2050. Si vuole agire promuovendo la produzione di beni riciclabili e riutilizzabili al fine di ridurre gli sprechi di risorse e i rifiuti.   ” . . . solo il 12% delle materie secondarie e delle risorse vengono reintrodotti nell’economia. Molti prodotti si rompono troppo facilmente, non possono essere riutilizzati, riparati o riciclati, o sono monouso. Esiste un enorme potenziale da sfruttare sia per le imprese che per i consumatori e con il piano odierno abbiamo avviato una serie di interventi volti a trasformare il modo in cui i prodotti sono fabbricati e consentire ai consumatori di effettuare scelte sostenibili a proprio vantaggio e a beneficio dell’ambiente”.   È quanto afferma Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo responsabile per il Green Deal europeo; parole che rendono ben chiare le intenzioni della Commissione UE.   Per far sì che niente più in Europa venga sprecato, la strategia europea prevede di:   Sensibilizzare i consumatori circa la durabilità dei prodotti e il loro riuso: bisogna rendere il consumatore consapevole, fornirgli ogni dettaglio sulla sostenibilità e sulla circolarità del prodotto, la durata di vita e le possibilità di riparazione; Spingere l’immissione sul mercato di prodotti sostenibili e resistenti, durevoli nel tempo, ma anche facili da riparare e quindi riutilizzare. A questo proposito il piano prevede di integrare il “Right to Repair – Diritto alla riparazione” nelle politiche dell’Unione in materia di prodotti e consumatori entro il 2021; Attenzionare i settori che consumano più risorse per favorire l’incremento della circolarità nei processi produttivi. L’Unione agirà con azioni concrete rivolte ai settori: elettronica e ICT, batterie e veicoli, imballaggi, plastica, tessile, alimentare, costruzione ed edilizia; Ridurre i rifiuti – mediante la trasformazione delle materie prime in risorse secondarie – e limitare le esportazioni di rifiuti dall’UE per contrastare le spedizioni illegali. Per conseguire questi due ultimi obiettivi l’UE sta lavorando alla realizzazione di un modello armonizzato per la raccolta differenziata dei rifiuti e l’etichettatura.   RAEE e ICT: elementi che meritano una maggiore attenzione da parte dell’UE   I rifiuti elettronici preoccupano la Commissione europea: è troppo alto il dato circa la quantità di RAEE prodotti ogni anno – più di 12 milioni di tonnellate – rispetto alla relativa percentuale di rifiuti riciclati (solo il 30%). Quest’ultimo dato va assolutamente migliorato perché i rifiuti elettronici contengono talvolta metalli preziosi che possono essere riutilizzati, come: ferro, acciaio, oro, alluminio, rame, piombo, mercurio e dunque vanno trattati correttamente, destinati al recupero differenziato per evitare sprechi di risorse.   Al settore ICT, invece, la Commissione UE chiede di più. Dal settore delle informazioni e della comunicazione l’ente pretende: una maggiore efficienza dal punto di vista energetico, l’impiego maggiore di fonti di energia rinnovabile e il raggiungimento della carbon neutral entro il 2030. Il settore ICT dovrà usare tra il 5 ed il 9% del consumo totale dell’elettricità mondiale e dovrà essere responsabile di oltre il 2% di tutte le emissioni.   Farm to Fork: ridurre gli sprechi della catena alimentare e ottimizzare l’impiego degli imballaggi da tavola   Il 20% dei prodotti della catena alimentare vanno persi o sprecati. Questo è solo uno dei dati che spinge la Commissione UE a includere nel nuovo piano d’azione per l’economia circolare una strategia “Farm to Fork”.   In passato questa espressione era usata per spingere sull’importanza di consumare prodotti di qualità, sicuri e realizzati nel rispetto della salute degli animali e delle piante. Oggi “dal produttore al consumatore” è una strategia, uno degli elementi centrali dell’agenda della Commissione UE; definita per ridurre gli sprechi alimentari e incentivare approcci e pratiche sostenibili e circolari nei settori interessati.   Prodotti sostenibili e riciclabili: l’UE promuove la trasparenza e la decarbonizzazione digitale   Con le misure incluse nel nuovo piano di economia circolare, l’UE spinge – ancora una volta – sulla trasparenza e sulla sostenibilità. Le imprese produttrici sono chiamate a innovare il proprio processo produttivo mediante la digitalizzazione per ridurre le emissioni nocive e il consumo di energia e di risorse.   Se acquisiti e studiati correttamente, infatti, i dati si trasformano in informazioni preziose, capaci di contribuire al miglioramento delle attività lavorative e i relativi impatti economici ed ambientali; ed è solo mediante l’uso di strumenti tecnologici e digitali che il dato può così divenire una fonte inesauribile di informazioni.   Inoltre, è compito delle stesse aziende produttrici informare il consumatore circa le performance ambientali dei prodotti offerti tramite le certificazioni ambientali per favorire acquisti consapevoli. La decarbonizzazione digitale può aiutare l’UE a migliorare le strategie di mitigazione e a gestire meglio crisi ed eventi climatici che – secondo l’Agenzia europea per l’ambiente – dal 1980 al 2017 hanno provocato perdite economiche pari a 453 miliardi di euro.   Tecno: la tua guida per conseguire gli obiettivi europei   Sosteniamo la trasformazione digitale e sostenibile dell’economia europea supportando le aziende che intendono misurare i consumi energetici e le emissioni aziendali. Aiutiamo chi vuole conseguire le certificazioni ambientali utili a dimostrare la circolarità e la sostenibilità

Certificazioni ambientali di prodotto: EPD e Carbon Footprint, le armi della sostenibilità

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Visibilità, brand reputation, accesso facilitato a bandi e gare di fornitura. Conosciamo tutti i vantaggi delle certificazioni ambientali di prodotto.   Perché aumenta il numero delle aziende che richiedono le certificazioni ambientali sebbene siano facoltative? Carbon footprint ed EPD consentono di comunicare in maniera certa e trasparente il valore ambientale dei prodotti che l’azienda/impresa offre sul mercato. Analizziamo i vantaggi reali delle certificazioni ambientali.   Carbon footprint di prodotto ed EPD: certificazioni facoltative, forse ancora per poco Le certificazioni ambientali di prodotto sono utili strumenti per potenziare i canali b2c e b2b, sia in termini di marketing, sia di collaborazioni e rapporti commerciali.   Sono tante le aziende che scelgono di lavorare nel rispetto dell’ambiente, ottimizzando i processi produttivi e riducendo la propria impronta di carbonio. Conseguendo certificazioni ambientali come l’EPD e la Carbon footprint le aziende hanno la possibilità di mostrare in maniera trasparente la sostenibilità dei prodotti che offrono sul mercato.   Se con la Carbon footprint l’attenzione ricade esclusivamente sul quantitativo di emissioni di gas serra del prodotto in esame, con la certificazione EPD il produttore mira ad analizzare l’intero impatto ambientale di ciò che offre.   La certificazione EPD, più conosciuta come Dichiarazione Ambientale di Prodotto, è una delle certificazioni più utili per dichiarare la qualità ambientale dei propri prodotti; in Italia sono ancora poche le aziende che la possiedono anche perché resta – almeno per ora – facoltativa. Presto però le cose potrebbero cambiare e la EPD potrebbe divenire una di quelle certificazioni necessarie – per gli addetti ai lavori – per accedere ai mercati globali e partecipare ad appalti e gare di fornitura.   Stesso discorso per la Carbon footprint, che non è ancora obbligatoria, ma il cui valore è riconosciuto da grandi player mondiali, specie nel settore della moda.   EPD: cosa la rende sicura rispetto ad altre certificazioni   Come spiega Lorenzo Orsenigo, direttore generale dell’organismo di certificazione ICMQ, tra le altre certificazioni ambientali di prodotto, quali l’Ecolabel e l’Asserzione ambientale dichiarata, la EPD è l’unica che necessita di essere convalidata da un ente esterno. Ciò contribuisce a renderla sicura agli occhi di chi è incaricato della valutazione delle dichiarazioni rese dal produttore.   A livello europeo la certificazione EPD è considerata la più efficace, perché rende agevole la comunicazione delle informazioni ambientali certificate circa la sostenibilità dei prodotti. Apprezzata anche dai consumatori, la EPD attira l’attenzione e aiuta l’azienda ad acquisire e fidelizzare clienti.   Inoltre, a differenza di altre dichiarazioni, la EPD non prevede né una scala di valutazione per le prestazioni, né soglie minime di accessibilità. Essa va semplicemente redatta nel rispetto di un formato standard, che faciliti la consultazione dati, il confronto tra prodotti e la verifica dell’ente esterno.   Program Operator in Europa ed aumento delle EPD pubblicate   Il sistema di certificazione delle EPD è controllato dai Program Operator, incaricati dello sviluppo e della pubblicazione delle EPD. In Europa di Program Operator ce ne sono molti, talvolta distinti per settore di competenza, i quali negli ultimi anni si sono occupati della validazione di sempre più Dichiarazioni Ambientali di Prodotto.   Il francese Ines rileva ben 2.321 EPD, il tedesco Ibu – specializzato nel settore costruzioni – ne registra circa 1.757 e anche in Italia il dato relativo alle EPD pubblicate non scarseggia. Infatti, sebbene sia abbastanza giovane, il nostro Program Operator EPD Italy registra un numero sempre crescente di EPD, validando le richieste che pervengono da settori emblematici per il paese, quali: calcestruzzo, cemento, ceramiche, acciai, isolanti, food & beverage.   Cosa spinge le aziende ad ottenere l’EPD per i propri prodotti?   Questa certificazione consente di acquisire maggiori crediti nei principali sistemi di rating degli edifici come: Leed, Itaca o Breeam e delle Infrastrutture come Envision.   La EPD influenza positivamente le scelte di progettisti e consumatori alla ricerca di prodotti a minor impatto ambientale e permette di assolvere agli obblighi di legge previsti in materia di sostenibilità ambientale (es. Cam Edilizia).   Inoltre, la Dichiarazione Ambientale di Prodotto permette di accedere ai mercati internazionali grazie al suo immenso potere comunicativo, che consente di contraddistinguere e differenziare un prodotto da altri per il suo impatto ambientale.   PCR: ciò che rende possibile la redazione di una Dichiarazione Ambientale di Prodotto   Per redigere l’EPD bisogna prestare attenzione alle PCR – Product Category Rules – le quali stabiliscono: i parametri obbligatori che il produttore deve dichiarare, la modalità per raccogliere i dati, quali sono le fasi del ciclo di vita del prodotto da considerare, quali le regole base per la valutazione dell’impatto ambientale e ancora le condizioni di comparabilità di prodotti.   Secondo quali fattori viene valutato l’impatto ambientale di un prodotto?   Sono diversi i fattori considerati; a partire da quelli quantitativi come: il consumo di risorse rinnovabili e non, la produzione di rifiuti, il potenziale di riuso o di riciclo contenuto nel prodotto, fino ad altri ancor più specifici, come: il riscaldamento globale, la riduzione della fascia di ozono, l’acidificazione del suolo e delle acque, l’eutrofizzazione, il potenziale di formazione fotochimica dell’ozono, l’esaurimento delle risorse abiotiche e di quelle abiotiche fossili.   Certifica la sostenibilità ambientale dei tuoi prodotti con Tecno   Mettiamo a disposizione dei nostri clienti tutta l’esperienza dei nostri tecnici ed ingegneri ambientali, sempre attenti a fare del proprio meglio nel rispetto delle richieste e delle esigenze del richiedente.   Fai una scelta responsabile! Certifica la sostenibilità dei tuoi prodotti affidandoti a Tecno. Scrivici.

Carbon e Water footprint: certificazioni che trainano la crescita delle aziende vitivinicole

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I cambiamenti climatici, seguiti dall’inquinamento delle acque, dell’atmosfera e dalla riduzione delle risorse idriche stanno fortemente influenzando l’opinione pubblica, tanto da condizionare l’andamento della domanda e dell’offerta di un mercato che sembra premiare solo chi è in grado di proporre beni a basso impatto ambientale. Sulla scia dei dati esaminati ed esposti da Certiquality, vediamo come un’azienda vitivinicola può rafforzare la sua presenza nel mercato internazionale con la carbon e la water footprint.   La sostenibilità traina la crescita aziendale   Le aziende vitivinicole che intendono migliorare i profitti e l’immagine della propria impresa possono sfruttare le potenzialità di certificazioni ambientali di rilevanza internazionale. Si tratta di certificazioni che, mediante l’analisi dell’impatto ambientale di uno o più prodotti – ma anche dell’azienda o del singolo processo -, permettono di mostrare a stakeholders, clienti e consumatori il miglioramento delle proprie performance ambientali e la sostenibilità dei prodotti offerti.   Il settore vitivinicolo è particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici, ecco perché molte aziende hanno scelto di puntare sulla carbon e sulla water footprint, al fine di contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici mediante l’ottimizzazione del processo produttivo.   Carbon e water footprint sono indicatori che aiutano l’azienda a raggiungere traguardi ambientali, migliorando anche la gestione dei costi e di produzione. Inoltre, questi diventano utili strumenti di marketing perché permettono di fornire informazioni dettagliate circa le emissioni di gas serra, il consumo e la degradazione delle risorse idriche dei propri prodotti; dettagli richiesti dai clienti e fondamentali per i consumatori.   Una carbon footprint anche per le aziende vitivinicole   La carbon footprint, o impronta di carbonio, è la misura che quantifica l’entità delle emissioni di gas serra di un prodotto o di un’organizzazione. Nel caso di un prodotto, la determinazione di questo indicatore è scandita dalla metodologia LCA (Life Cycle Assessment), volta ad analizzare le emissioni di gas serra prodotte nell’intero ciclo di vita del bene. La norma internazionale ISO 14067 specifica i principi, i requisiti e le linee guida utili alla quantificazione e alla comunicazione delle emissioni di gas serra di un prodotto.   Secondo un recente studio portato alla luce da Certiquality, una convenzionale bottiglia di vino (in vetro e pari a 0,75 L) determina emissioni di gas serra comprese tra 0.41 e 1.6 kg di CO2 (Christ e Burritt, 2013).   Ogni attività genera emissioni di gas ad effetto serra pericolosi per l’equilibrio climatico. L’uso massivo di combustibile fossile per la produzione di energia elettrica e di calore determina emissioni di anidride carbonica; l’inadeguato impiego di fertilizzanti e pesticidi comporta emissioni di protossido di azoto; consumi che se non ottimizzati rischiano di danneggiare l’ambiente, ma soprattutto le aziende interessate.   Quali sono le attività legate alla produzione del vino più impattanti in ambito di emissioni di GHG?   Le attività di vigneto (17%) Il packaging (22%) Il fine vita, ossia quando il vino viene consumato e la confezione va smaltita (22%)   La determinazione della carbon footprint del vino interessa ogni fase del processo produttivo:   La viticoltura: che comprende tutte le attività agricole, dall’impianto del vigneto fino alla raccolta dell’uva, considerando anche la dismissione del vigneto e la fase di trasporto dell’uva in cantina; La vinificazione: step caratterizzato dalla trasformazione dell’uva in vino che avviene in cantina; L’imbottigliamento: fase in cui la bottiglia di vino viene confezionata e che include step come: la produzione delle bottiglie, il risciacquo e l’asciugatura, il riempimento e la tappatura delle bottiglie, l’incapsulatura, l’etichettatura e il posizionamento delle bottiglie nei cartoni.   Water footprint: dal prelievo dell’acqua agli scarichi inquinanti   L’acqua è un bene limitato, una risorsa che comincia a scarseggiare provocando problemi sia ambientali che politici.   Questa è solo una delle ragioni che motiva l’impegno delle aziende a ottimizzare la gestione dell’acqua del proprio processo produttivo o aziendale mediante la determinazione della water footprint, l’impronta idrica.   Questo indicatore consente di quantificare l’entità del consumo di acqua dolce di un processo produttivo, di un prodotto o di un’azienda. La determinazione della water footprint viene definita dalla norma internazionale ISO 14046 e concerne l’applicazione di una metodologia scientifica volta a individuare non solo il consumo di acqua in termini di prelievo, ma anche in termini di inquinamento delle acque che l’oggetto di analisi determina. La norma ISO considera infatti due componenti:   La water availability footprint: aspetti associati al prelievo di acque, dunque al consumo di risorse idriche; La water degradation footprint: aspetti che riguardano il rilascio delle sostanze inquinanti nelle acque di scarico e i relativi impatti.   Nella determinazione della water footprint da parte di un’azienda vitivinicola ci sono ulteriori variabili da considerare, come: la conformazione geografica e geologica del vigneto, gli elementi climatici propri della cantina, la vicinanza o meno a un corpo idrico recettivo.   Oggettività e credibilità: i plusvalori delle certificazioni ambientali   La fase di validazione dei dati ricavati con la carbon e con la water footprint non va sottovalutata. Si tratta del momento in cui un ente esterno indipendente controlla la conformità dei dati raccolti, delle analisi LCA effettuate e del dato fornito dagli indicatori ambientali.   Grazie a quest’ultimo step, l’azienda può ottenere le certificazioni ambientali desiderate e raggiungere obiettivi diversi, come:   diffondere le informazioni circa le emissioni di gas serra e l’impatto sulle risorse idriche del proprio prodotto nel tempo (performance tracking); informare il pubblico dell’impegno ambientale dell’azienda, attenta a migliorare le performance ambientali del proprio ciclo produttivo; fornire informazioni a clienti e aziende coinvolte nella catena di fornitura (comunicazione b2b); mettere a disposizione dei consumatori un bagaglio di informazioni ambientali utili ad orientare le loro scelte di acquisto (comunicazione b2c).   Il conseguimento di queste certificazioni talvolta agevola l’attività di comparazione di prodotti equivalenti. Sergio Bucci, direttore della Cantina Vignaioli del Morellino di Scansano, a seguito della certificazione carbon footprint afferma:   “Il risultato è un circolo virtuoso: con la sostenibilità si tagliano costi, si risparmia, si guadagna e si fa del bene all’ambiente e alla società“.   Conseguire la certificazione carbon footprint e altre certificazioni ambientali tramite un

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